mercoledì 31 marzo 2010

I baroni Drammis di Scandale


A destra la copertina del libro di Gian Paolo Callegari, “I Baroni”, pubblicato dalla Garzanti di Milano nel 1950. Questo romanzo, come anche “Janchicedda” (Roma, Casini, 1956) è stato scritto prendendo spunto dai racconti che Nicola Tiano di Scandale ha fatto a Callegari durante la seconda Guerra mondiale. È opportuno precisare che le vicende narrate nel libro non hanno niente a che fare con la vera storia della famiglia Drammis.


“La famiglia Drammis discende dal Colonnello Salvatore Drammis, che venne in Italia al tempo della calata degli Spagnoli in questo paese. Egli vi si stabilì e prese in acquisto le terre di Fota, come pure la Baronia che ne dipendeva”.

Così riporta un foglio dattiloscritto in possesso dei discendenti, probabile trascrizione di un diploma originale redatto nella seconda metà dell’Ottocento, di cui si sono perse le tracce.

Ma quando i feudi di Fota e San Leone (cioè Galloppà) passarono ai Drammis? Secondo la documentazione raccolta da vari storici, Fota era in possesso del barone Nicola Piterà di Cutro, figlio primogenito di Bruno, che alla morte del padre, avvenuta il 19 gennaio 1766, prese possesso del feudo in data 17 giugno 1772. Successivamente egli lo vendette a Raffaele De Fiore, con Regio Assenso dell’8 agosto 1798. Con intestazione definitiva del 26 febbraio 1801.

San Leone, invece, sul Catasto Onciario di Scandale del 1743, risulta “possedimento dell’Illustre Signor Don Pier Mattia Grutther Principe, Duca della città e stato di Santa Severina, residente con casa e famiglia nella città di Napoli”. Ufficialmente i Grutther persero tutti i possedimenti con l’eversione della feudalità, promulgata da Giuseppe Bonaparte il 2 agosto 1806. Quindi, in attesa di ulteriori documenti notarili dell’epoca, che non si sa quando vedranno la luce, dobbiamo ipotizzare che fu nei primi anni dell’Ottocento che questi due feudi vennero acquistati dai Drammis ad un prezzo vantaggioso.

Il cognome lo troviamo presente a Scandale già nel Seicento, ma va detto che nell’Apprezzo dello Stato di Santa Severina e dei suoi casali, redatto dall’architetto Onofrio Tango nel 1653, il cognome Drammis non figura fra le famiglie nobili dell’epoca presenti in paese che erano già, dal 1630: Peta, Clarà, Parisi, Melita, Borrelli, Bua, Cizza, Franco, Mannis, Brescia. E, in verità, nemmeno nell’Apprezzo del 1687, redatto dall’ingegnere Giovan Battista Manni.

Il primo documento ufficiale che parla di una o più famiglie Drammis è il “Catasto Onciario” del 1743, dove, oltre ad un Salvatore Drammis presente nell’elenco dei cittadini residenti, risulta che “Domenico Drammis, sacerdote di 34 anni, abita in una casa propria di 2 stanze con i due fratelli Antonio e Niccolò. Possiede ancora due magazzini che non danno rendita perché usati dalla famiglia, una casa ad uso di forno ed una fittata a 2 carlini con un orto attiguo. Una vigna che gli rende 8 ducati circa”.

Dobbiamo tenere presente, però, che delle 850 pagine manoscritte del Catasto, ne sono state trascritte solo alcune, e che quindi ancora non conosciamo tutti i cognomi delle famiglie residenti in paese, che vengono elencate minuziosamente dagli apprezzatori e dai funzionari con nome, cognome, figli, parenti, beni mobili ed immobili.

Comunque, anche se col tempo verranno fuori sicuramente altre notizie interessanti, va ricordato che sulla famiglia Drammis si sa poco, perché tutti i documenti e i libri che avevano in casa, sono stati buttati dalla finestra del palazzo, nella scena della rivoluzione, durante la lavorazione del film “Il Brigante”.

Quando Castellani finì di “girare” in piazza San Francesco, molti scandalesi presero i documenti e i libri e se li portarono a casa: ma non per leggerli, bensì per accendere il fuoco. Lo stesso Castellani, con la scusa di dover girare una scena in un altro paese, si portò via dal palazzo baronale due bellissimi quadri: uno di Vittorio Emanuele e un altro di Garibaldi, che non ha mai restituito.