domenica 25 gennaio 2015

Scandale - Sankt Georgen: mostra fotografica


Austellung in der Stadt Bibliothek in Sankt Georgen über der Partnerschaft mit Scandale.
Mostra fotografica nella Biblioteca comunale di Sankt Georgen sul gemellaggio con Scandale. Queste sono solo una parte delle foto pubblicate da Barbara Zanoni su facebook.























A Scandale il miglior extravergine del Crotonese


L’olio extravergine del Crotonese? Quello di Pino Maida da Scandale

SCANDALE
Vorremmo stare a parlare sempre di queste belle notizie, ed è una gioia poter raccontare questa storia, ossia la grande affermazione, nell’ambito degli oli extravergini di oliva in Calabria, di un’azienda di Scandale che ha sempre fatto della qualità, del biologico i suoi punti di forza.
Pino Maida, titolare del'azienda agricola Pino Maida di Scandale. L’azienda è quella di Giuseppe (Pino per gli amici) Maida ed ha sede a Scandale in Via San Nicola.
Veniamo al dunque: alcuni mesi fa l’Assessorato Foreste e Forestazione “Settore 2” (Valorizzazione e promozione produzioni agricole e filiere produttive) della Regione Calabria ha dato vita ad un progetto per la realizzazione di un “Carrello degli Oli Extravergini di Calabria” che ha portato anche alla realizzazione di un libricino, una guida ufficiale, denominata “Olivum Nostrum”.
Ebbene su 27 aziende selezionate e presentate nella pubblicazione di cui sopra, l’unica azienda del crotonese presente è appunto quella di Pino Maida.
La guida sugli oli extravergini di oliva realizzata dalla Regione Calabria Sulla guida, a pagina 39, interamente dedicata all’azienda scandalese, vi si legge: “L’azienda Maida si trova immersa nel verde delle colline di Scandale, occupandone una superfice di circa 30 ettari ed a Santa Severina per altri 50 ettari, tutti territori ricadenti nella provincia di Crotone. L’azienda si occupa principalmente di olivicoltura coltivando la varietà Carolea, esclusivamente col metodo dell’agricoltura biologica. (…). L’extravergine Maida, per le caratteristiche sensoriali olfatto/gustative è consigliato per l’abbinamento con verdure cotte dal gusto deciso, bolliti di manzo e preparazione di brasati.
Non nasconde la propria soddisfazione Pino Maida per questo importante risultato raggiunto, anche se mai e poi avrebbe creduto di ritrovarsi l’unico della provincia di Crotone; una provincia con 18.250 ettari di oliveti, tra i quali, però, la pubblicazione della Regione Calabria, ha ritenuto opportuno selezionare solo gli 80 ettari (tra Scandale e Santa Severina) del nostro Pino.
Un ragazzo che si è fatto da solo, chi scrive lo ricorda ancora minorenne, praticamente all’alba, già alle prese con trattori e mezzi, allora dell’azienda del padre, prima di entrare alle scuole medie.
L'etichetta dell'olio extravergine di Pino Maida di Scandale. Da allora ne ha fatta di strada, creando la propria azienda e diversificandosi nelle produzioni; oltre all’olio Pino produce anche altro tra cui arance, legna e miele. “Miele, miele di api – ci tiene a sottolineare il giovane imprenditore agricolo scandalese – senza aggiunta di zuccheri vari”.
Qualche anno fa quando il gruppo musicale dei Ricchi e Poveri (che dovevano cantare alla festa della Madonna) furono ospitati nella villa di Giuseppe, anche la brunetta del gruppo, Angela Brambati, che volle fare un giro per l’azienda scandalese, fu colpita dai luoghi e dai prodotti di Pino che non fece mancare un assaggio delle sue specialità al gruppo musicale.
Logicamente per il quarantenne Pino, impegnato in campo agricolo praticamente da una vita, questo non è un punto di arrivo, anzi, questo riconoscimento lo spingerà ad impegnarsi ancora di più nelle sue produzioni e a fare ancora meglio!

È possibile contattare l’azienda Maida Giuseppe (così come specificato sulla guida) ai numeri 0962 54298 oppure 335 6108364 o alla e-mail veronicavanessa@alice.it

Articolo con foto di By Ros del 12 gennaio 2015 su Area Locale


  
Pino Maida

La civiltà dell’antica Roma

Domus Augustana (stadio e complesso severiano) del Palatino di Roma

La civiltà dell’antica Roma

“L’Impero di Roma sarebbe stata solo una conquista effimera se si fosse limitato a imporre al mondo, con la forza, un’organizzazione politica e anche giuridica. La sua vera grandezza risiedeva forse maggiormente in quella che fu, e resta tuttora, la sua influenza spirituale. Fu Roma che aprì, in Occidente, regioni sconfinate a tutte le forme della cultura e del pensiero e che, in Oriente, permise ai tesori della spiritualità e dell’arte ellenici di sopravvivere, conservando la propria virtù fecondatrice. Talvolta, si può essere tentati di vagheggiare un mondo in cui Roma non fosse esistita ma alla fin fine questo consente solo di valutare meglio quale ruolo immenso essa ebbe nella storia del pensiero umano”.


Pierre Grimal, La civiltà dell’antica Roma, Newton Compton editori, Roma, 2007 [2004] pag. 154. Titolo originale: La civilisation romaine, B. Arthaud, Paris, 1960.

Massime e aforismi - Leo Longanesi

Leo Longanesi

“Se c'è una cosa che in Italia funziona è il disordine”

Leo Longanesi
Vero nome Leopoldo
Bagnacavallo 1905 – Milano 1957 
Scrittore, pittore ed editore

domenica 18 gennaio 2015

Dieci lire per Ciccillo - Racconto di Ezio Scaramuzzino


Dieci lire per Ciccillo

Mesoraca in una foto d'epoca 
Ciccillo partiva da Mesoraca verso l’alba, per poter arrivare di primo mattino in uno dei paesi del Marchesato. Ma la sua meta preferita era Scandale, che egli visitava almeno una volta al mese. Viaggiava a piedi Ciccillo, un po’ perché allora i mezzi di comunicazione erano scarsi, ma anche perché, se pure ci fossero stati, egli non aveva i soldi per pagarsi un biglietto e, se anche li avesse avuti, avrebbe certamente preferito risparmarseli, evitando un viaggio in autobus, che considerava decisamente un lusso riservato a ben altre persone. Nel viaggio egli percorreva scorciatoie e sentieri che conosceva bene e solo di tanto in tanto, nei brevi tratti in cui si trovava su una strada pubblica, si azzardava a chiedere un passaggio a qualche contadino alla guida di un carretto.
Quando il passaggio gli veniva accordato, montava in fretta e faceva la prima sosta al bivio Lenza, dove una sorta di osteria a buon mercato costituiva una prima tappa obbligata per tutti coloro che si trovassero ad attraversare quelle strade. Qui Ciccillo non perdeva tempo. Si dava un’occhiata intorno e, se erano presenti almeno due o tre persone, saliva subito su una sedia, richiamava l’attenzione dei presenti e incominciava a recitare filastrocche e scioglilingua che solo lui conosceva.
Alla fine della recita scendeva dal suo piedistallo e chiedeva dieci lire. “M’e ‘ddu’ dece lire?”, diceva, non con l’aria di chi chiede l’elemosina, ma con l’atteggiamento di chi chiede il giusto compenso per un’esibizione artistica.
Poi, se gli era possibile, proseguiva il viaggio sul carretto e verso le otto era in paese. Si fermava anche qui in un’osteria, si faceva offrire un bicchiere di vino, quasi a voler ritemprare le forze, e poi andava incontro al suo pubblico. La notizia del suo arrivo si diffondeva in un attimo. “E’ arrivato Ciccilluzzo”, si dicevano tutti. C’erano centinaia di Ciccilli nella zona, ma Ciccilluzzo era solo lui, unico ed inconfondibile.

Ciccillo avanzava, nella strada principale del paese, alla testa di un corteo formato per lo più da monelli, che durante tutto il tragitto lo spernacchiavano e lo tormentavano crudelmente, tirandogli dietro ciottoli, tirandolo per la giacca o facendogli lo sgambetto per cercare di farlo cadere. Tra quei monelli allora c’ero anche io. Ma Ciccillo era impavido: resisteva ad ogni offensiva e, un po’ barcollando, un po’ zigzagando per evitare le trappole, riusciva a raggiungere la sua meta, che poi era la piazza principale del paese. Qui qualcuno andava a prendere una sedia, alla quale Ciccillo si avvicinava facendosi largo tra la folla sghignazzante. Una volta salito, egli dava fondo alle sue qualità di attore, recitando il meglio del suo repertorio. La gente non lesinava gli applausi e si infervorava sempre di più. L’attore, da quella sedia che costituiva il suo palcoscenico, assecondava gli umori del pubblico e non si faceva pregare nel soddisfare le richieste. Ciccillo si accalorava, gesticolava, sudava, parlava, straparlava, ma immancabilmente, prima o poi, in un modo o nell’altro, arrivava a quello che era unanimemente considerato il suo pezzo forte, il suo cavallo di battaglia, il suo capolavoro.
Quando lui stesso preannunziava che stava per eseguire ‘A fimmina culinuda, la gente improvvisamente rimaneva zitta, perché non una parola doveva essere persa. In questo silenzio Ciccillo prima si rischiarava la voce, poi si dava una manata sulla coscia, come per darsi il tempo, ed infine attaccava, su un ritmo di tarantella, una specie di strambotto.

E quant’ è bella ‘a fimmina culinuda,
parà ‘na casa senza ceramidi,
ammenz’’i gambi cià ‘na grutta scura,
ci guardi cu ricriu e nu ci vidi.

E quant’ è bellu l’ominu culinudu,
parà ra casa di nu cavaleru,
ammenz’’i gambii tena ‘n’armatura,
fa strazi di li fimmini chi vida.

Alla fine della recita la folla andava immancabilmente in delirio. Ciccillo dal suo palcoscenico ringraziava con un inchino, stando ben attento a non ruzzolare, e poi chiedeva dieci lire ad ogni persona di buon cuore del gentile pubblico. Qualche carogna gli rispondeva con il lancio di ortaggi, ma non mancavano quelli che le dieci lire gliele davano davvero, anche se si divertivano a lanciargliele sulla testa. Ciccillo non si perdeva d’animo: si piegava per terra e si intrufolava tra le gambe della gente per raccogliere quelle sudatissime offerte.
Durante la mia infanzia, non c’era ancora la televisione, del cinema si sentiva solo parlare e gli unici divertimenti possibili erano quelli procurati da qualche scassatissimo circo equestre di passaggio e da qualche compagnia di attori girovaghi napoletani, oppure quelli offerti da Ciccillo. Ma il circo e gli attori girovaghi capitavano una volta ogni tanto, mentre Ciccillo era quasi un ospite fisso nella vita lenta e sonnacchiosa del paese.
Passarono gli anni, tanti anni. In una calda Domenica di Giugno, mi ritrovai con alcuni amici a San Mauro Marchesato, in occasione della festa della Madonna del Soccorso, una delle più importanti e famose tra le tante feste religiose del circondario. Da Scandale eravamo andati a piedi, tanto era breve la distanza, e ci eravamo ritrovati davanti al santuario nel momento culminante delle celebrazioni. Il grande quadro con l’effigie della Madonna aveva appena iniziato il suo giro attraverso le strade del paese e, quando la folla cessò di sfilare, notai che ai due lati del portone d’ingresso del santuario due ciechi erano fermi a chiedere l’elemosina.
Uno dei due era di corporatura robusta, aveva occhiali neri, un cartello appeso al petto con la scritta Cieco di guerra, un bastone nella mano destra, un cappello nella mano sinistra e chiedeva la carità con voce lamentosa e strascicata. L’altro, più gracile ed apparentemente più vecchio del primo, si limitava a protendere silenziosamente un piattino, sperando nella generosità dei passanti. Non aveva occhiali ed era possibile vedere che dalle sue orbite fuoriusciva un liquido giallastro, rappreso all’altezza degli zigomi.
La mia attenzione fu richiamata in particolare dal fatto che il primo cieco mal sopportava la presenza del secondo e lo invitava continuamente ad andarsene o almeno a spostarsi un po’ più lontano. Il secondo però oltre che cieco doveva essere anche sordo, perché proprio non ci sentiva da quell’orecchio e continuava imperterrito, senza profferire parola, a tenere il braccio teso con il piattino.

Ma fu un attimo: il primo cieco, che poi tanto cieco non doveva essere, prese una breve rincorsa, roteò il suo bastone e assestò con precisione una legnata sulla testa del rivale. Il quale barcollò un attimo e poi cadde per terra, mentre l’aggressore se la svignava, approfittando della ressa e della confusione.
Fui il primo ad accorrere ed a prestare soccorso al malcapitato. Riuscii anche a superare la mia istintiva repulsione per quel liquido giallastro che gli colava sul volto e lo sorressi, riuscendo a risollevarlo e a rimetterlo in piedi, mentre altre persone assistevano o collaboravano in qualche modo all’opera caritatevole. Egli si lamentava flebilmente per il colpo ricevuto e cercava di toccarsi con la mano una ficozza bluastra che già incominciava ad infiorare la sua testa calva. Mentre lo sorreggevo, vidi che anche sul didietro, lungo la gamba destra, gli colava quella secrezione giallastra che già aveva impiastricciato il suo volto. Notai che da una tasca posteriore penzolava un piccolo contenitore di plastica, che nella caduta si era spezzato in due e lasciava fuoriuscire qualcosa che con tutta evidenza si presentava come un miscuglio liquido di uova strapazzate. Poi mi soffermai a guardare bene il volto di quel “cieco” ed ebbi la netta impressione di averlo già visto da qualche parte, forse anche di conoscerlo.

Cercavo di far luce nella mia memoria, di ricordare dove e come l’avessi conosciuto, quando egli incominciò ad articolare le sue prime parole dopo la caduta e disse con chiarezza:“M’e ‘ddu’ dece lire?”. Era lui, era Ciccillo, invecchiato, malconcio, ancora più a mal partito rispetto a tanti anni prima, ma era lui, decisamente.
Erano passati tanti anni da allora, forse trenta. C’era stato il miracolo economico degli anni ’60 e poi c’era stata la crisi degli anni ‘70, che aveva impoverito tanta gente. In seguito c’era stata la ripresa degli anni ’80, la ripresa del periodo di Reagan, tanto per intenderci, ma Ciccillo tutte queste cose non le aveva mai sapute e certamente non le sapeva ancora. Egli continuava imperterrito a chiedere dieci lire, quelle dieci lire con le due spighe da una parte e l’aratro dall’altra, che ormai non venivano nemmeno più coniate ed erano sparite dalla circolazione.

Mi frugai nelle tasche e trovai una moneta di cinquecento lire. Gliela regalai con piacere, un po’ per ringraziarlo, seppur tardivamente, degli spassi che mi aveva procurato quando ero bambino, un po’ anche per chiedergli scusa delle tante afflizioni che gli avevo procurate allora, con gli altri monelli della mia età.
Ciccillo afferrò la moneta con un brusco movimento e si mise ad osservarla con gli occhi sgranati, con quegli stessi occhi che fino a qualche minuto prima egli aveva tenuti ostinatamente chiusi. Poi si allontanò, senza voltarsi, zoppicando leggermente e di tanto in tanto mettendosi una mano sulla ficozza, mentre con l’altra mano teneva stretto il suo piccolo tesoro.
Qualche anno fa, nel suo paese di origine, Ciccillo è morto durante una freddissima notte di Dicembre all’età di circa novanta anni. E’ morto in perfetta solitudine, come in perfetta solitudine era sempre vissuto. I vicini di casa, che vedevano da un paio di giorni l’uscio sempre chiuso, si erano insospettiti ed avevano dato l’allarme. I volontari della Misericordia, che sono andati a prelevarlo per provvedere alle esequie, lo hanno trovato completamente vestito ed infilato nel suo letto sotto una montagna di coperte. I suoi scarponi erano allineati davanti al letto e sul tavolo c’erano ancora gli avanzi della sua ultima cena di un paio di giorni prima: un pezzetto di pane, qualche oliva, una buccia di formaggio, una mezza cipolla, un bicchiere con residui di vino. Gli stessi volontari, mentre cercavano di raddrizzarlo per sistemarlo nella bara, hanno trovato in una tasca interna della sua giacca, strettamente legato con uno spago, un libretto di risparmio postale al portatore. Su di esso risultavano depositati 112.342,26 Euro a nome e per conto di Ierardi Francesco, nato a Mesoraca il 15 Gennaio 1911.

Ezio Scaramuzzino, Violetta spensierata e altri racconti, Gruppo Editoriale l’Espresso, 2012, pag. 16



Ridateci il Medioevo normanno

Al centro il prof. Ulderico Nisticò in una foto di RAI 3

RIDATECI IL MEDIOEVO NORMANNO
Credo che il Meridione, e la Calabria in specie, siano gli unici luoghi d’Europa dove la parola medioevale conservi il senso dispregiativo che le ha trasmesso l’illuminismo. Gli istruiti calabresi (dotti, è un parolone!) vivono in una sconsolata nostalgia della Magna Grecia, della quale non sanno quasi nulla, però quello che non sanno lo sanno benissimo. Il resto, praticamente non esiste: durante l’Impero Romano, schiavitù e oppressione; i Bizantini erano malati e corrotti, eccetto, ovviamente, i monaci “basiliani” tutti santi e pii e belli e casti eccetera; quanto ai Normanni, quasi del tutto ignoti.
E invece quella normanna è storia nostra, e soprattutto calabrese. Roberto Guiscardo iniziò le sue avventure a San Marco [Argentano], e con un esercito di normanni e calabresi vinse papa Leone IX a Civitate nel 1053; poi dovette combattere contro i ribelli dell’Alto Tirreno e sconfiggere a San Martino [d’Aspromonte] una schiera bizantina; e prendere Gerace, Squillace, Santa Severina, infine la stessa Reggio. Combatte al suo fianco, e spesso contro di lui, il più giovane dei fratelli, Ruggero [I], che diverrà granconte di Calabria e Sicilia, e ha sede prima a Scalea, poi a Mileto; e muove da Nicotera contro la Sicilia.
Memorie normanne sono frequenti. Sono forse loro discendenti i Ruffo, così importanti per la storia meridionale, e calabrese in specie. Non mancano tracce materiali: Mileto Antica, Sant’Eufemia, Corazzo e la Roccelletta, che non è una “basilica bizantina” ma un’abbazia normanna… E si deve ai Normanni la storia unitaria del Sud, che finirà solo nel 1861.
Qualsiasi recupero di questa storia è utile e necessario, tanto più se si ammanta di mito e di poesia. Siamo dunque in attesa curiosa di quanto ci si annunzia per il 9 e il 10 agosto, il dramma di Adelasia e Boemondo e Morgana, che diverrà, per Armonie d’arte e sotto la magica penna di Francesco Brancatella, “L’ultima notte di Scolacium”.


Articolo del prof. Ulderico Nisticò su Facebook del 3 giugno 2014

Massime e aforismi - Jean Baudrillard

Jean Baudrillard

“L'Africa ha l'Aids − L'America del Sud ha la droga − l'Islam ha il terrorismo − il Terzo mondo ha il debito. Gli unici successi occidentali sono i virus elettronici e il crack della borsa”

Jean Baudrillard
Reims 1929 – Parigi 2007
Filosofo e sociologo francese.


Vivere tranquilli

Borgo di Elcito in provincia di Macerata - 7 abitanti

domenica 11 gennaio 2015

In memoria di Gino Scalise


Padre Gentile, Gino Scalise, Iginio Carvelli e Don Renato in una vecchia foto scattata i quello che allora era il cinema Brescia di Scandale

Scandale onora la memoria del grande Gino Scalise
Non disperdere questo patrimonio ma tenerlo vivo anche per le future generazioni

SCANDALE lunedì 29 dicembre 2014
Sabato 20 dicembre 2014 nella sala consiliare del comune di Scandale si è svolto il convegno dedicato a Gino Scalise. Nei locali del palazzo comunale nonostante le numerose persone convenute, l’incontro non è stato particolarmente partecipato rispetto alla grande personalità, cui l’amministrazione comunale vuole segnare per sempre la sua memoria. Sotto quest’aspetto Scandale ripetutamente perde sensibilità che certamente non fa onore a nessuno. La serata si è aperta con l’intervento di Elena Cosentini che nelle vesti di moderatrice ha aperto i lavori leggendo alcuni passi di una poesia di Gino, mediante i quali entra subito nel più vivo ricordo di un’alta personalità scandalese. Cede subito la parola al sindaco di Scandale Iginio Pingitore che ha fortemente voluto e organizzato l’incontro. “Una serata speciale, in cui ricordare una persona straordinaria come Gino Scalise per il suo infaticabile impegno e amore per Scandale e i suoi abitanti, Gino si è donato e ha donato tutto. Uomo insigne, dalla personalità esemplare e straordinaria, profondamente umana, integra su tutti i livelli.
Gino Scalise Ha saputo abbinare il laico e il religioso come l’agnello in mezzo ai lupi, non a caso è stato nei panni di responsabile di gruppi religiosi e di attività socio-culturali, presidente dell’azione cattolica e nello stesso tempo impegnato per una sana politica, sindaco del paese, senza mai sciupare i voti offerti al Signore. Ci saranno altre occasione e nuovi incontri per ricordare la figura di Gino Scalise”.
A Iginio Carvelli è toccato l’approfondimento biografico di quest’uomo nella dimensione di tre profili: 1) laico cattolico; 2) uomo impegnato nella società civile; 3) il poeta. Nella premessa del relatore emergono alcune straordinarie frasi pronunciate da Gino quando era giovanissimo: “Grazie a Dio sto soffrendo molto; mi sono sentito molto sconfortato alcuni giorni in ufficio che, del resto, non potevo disertare, quando non sono riuscito a fare tutto il mio dovere d’impiegato; in questo momento ho più che mai conosciuto cosa significa per noi la Fede poiché è stata ed è l’unica che mi mantiene calmo il più possibile”. “Sta a noi tutti – ha commnetato Iginio Carvelli – incominciando dalle istituzioni locali, a non disperdere questo patrimonio che va invece tenuto vivo anche per le future generazioni. Spetta a noi custodire e valorizzare questo patrimonio e onorare doverosamente la memoria di questo grande uomo, Gino Scalise”. Le conclusioni del convegno sono spettate a Mons. Francesco Frandina, gia vicario del Vescovo, il quale ha ricordato i momenti trascorsi insieme a Scandale dopo la sua ordinazione sacerdotale e le numerose visite condotte presso le parrocchie delle diocesi fino a notte tarda a bordo di una vecchia moto.

Articolo del sito Il Cirotano

Paesi di Calabria

Petilia Policastro (KR), Piazza Filottete -  Francesco Photographiclab

Roccabernarda, Cotronei e Petilia Policastro in una cronaca di Girolamo Marafioti

Dopo il monte Clibano incontramo un castello chiamato Vernanda, ma volgarmente è detto Rocca Bernarda, lontano dal mare per ispazio di ventitre miglia in circa in conto al quale discorre il fiume Targe molto celebrato da Plinio, ma l’istesso fiume hoggi volgarmente è chiamato Tacina. Nasce in questo paese il sale terrestre, si fa abbondanza di grano, vino, oglio, e mele: Nasce la sesama e il babaggio, e le campagne sono abbondanti ne’ pascoli degli animali. Passato il fiume occorre un castello chiamato Cotroneo; e indi camminando giongemo ad una città con fortissimo castello circondata da profondi precipitij, dove par che la natura stessa con ogni sua industria si sia ingegnata fare questo paese à posta, accio ch’in esso fosse edificata una così inespugnabile fortezza chiamata hoggi Policastro. Sta in luogo alto in aria salutifera nelle radici della montagna chiamata Sila.


Girolamo Marafioti, Croniche et antichità di Calabria, Padova 1601, pag. 212.

Massime e aforismi - Marguerite Yourcenar

Marguerite Yourcenar

“L’amore è un castigo: siamo puniti per non aver saputo restare soli”

Marguerite Yourcenar
Pseudonimo di M. Cleenewerck de Crayencour
Bruxelles 1903 – Mount Desert 1987
Scrittrice e saggista francese


martedì 6 gennaio 2015

Befana di ieri - Befana di oggi


La Befana a Scandale in due foto del 2014


Befana Unitalsi 2015 in tre foto By Ros



Massime e aforismi - Antoine de Saint-Exupéry

Antoine de Saint-Exupéry

“Si vede bene solo con il cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi”

Antoine de Saint-Exupéry
Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry
Lione 1900 – Mar Tirreno 1944 

Scrittore e aviatore francese

domenica 4 gennaio 2015

Paesi di Calabria - Scandale

Il centro storico di Scandale in un disegno del pittore Nicola Santoro

SCANDALE
Paese di origini remote del Marchesato di Crotone. Nel territorio comunale sono stati trovati vari reperti archeologici, quali una grande ascia neolitica di pietra scura, reperti litici e fittili, conservati nel museo di Crotone. Il nome Scandale (Σχανδάλη) deriva dal greco.
Alla fine dell’Ottocento il marchese Armando Lucifero di Crotone, scoprì in località Vituso una Necropoli Preromana composta da più di 20 tombe, risalenti al VI-III secolo a.C. Nel periodo romano, nel territorio di Scandale esistevano latifondi imperiali: da qui proviene un epitaffio dedicato ad un Flavius Theogenes (chiaramente un greco affrancato dai Flavi) alla propria madre Imperatoris Caesaris Serva.
All’inizio del Novecento altri reperti vennero alla luce con le ricerche dell’archeologo Paolo Orsi (Senatore del Regno). In particolare il materiale rinvenuto in contrada Prebenda (nei pressi di San Leone, ora Galloppà), proveniente dalla stipe di un santuario rurale del IV-III secolo a.C. Tra le offerte votive alcune statuette con symplegma, una veste indossata in modo particolare, figure femminili in terracotta del tipo tanagrine e busti fittili con corone di foglie. Ragguardevole, per le dimensioni, è la parte inferiore di una statuetta in terracotta con schiniere, vestita con un corto mantello.
Dalla località San Leo (collina nei pressi di Scandale), provengono monete greche pertinenti ad un ripostiglio databile, secondo il Kraay, all’inizio del III secolo (una moneta di elettro siracusana e dieci stateri d’argento di varia provenienza), e un’ancoretta “decorata su fondo nero”. Dalla contrada Turrotio provengono 150 monete di bronzo, bruzie.

Anche se esisteva già da molto tempo, il primo documento ufficiale che cita il paese di Scandale risale alla fine del XII secolo e riguarda un suo illustre cittadino. Si tratta di atto notarile che risalirebbe in prima stesura intorno al 1184, conservato nell’Archivio Segreto Vaticano (Codice Vaticano Latino 13490, N°84), che porta la data del 17 marzo 1217 rogato in presenza del bàiulo (giudice) di Santa Severina, Guarniero di Scandale. Il documento del 1034 che cita la parola Scandale, riguarda un cittadino di Rossano con questo cognome e non il nostro paese.
Nell’attuale territorio comunale, nel XIII secolo, c’erano altri 3 feudi: San Leone (Diocesi), Turrotio e Santo Stefano. Nel 1268, Giovanni di Notolio, primo feudatario di Scandale di cui si ha notizia, restituì i feudi al re Carlo d’Angiò, che precedentemente glieli aveva assegnati. Così, nel 1269, Carlo decise di assegnare come beneficium terriero, la metà delle terre di Turrotio, San Leone e Scandale ai fratelli Giordano e Berlingerio Sanfelice (nobili di origine normanna, che presero questo cognome perché avevano in concessione il castello di San Felice in provincia di Caserta), per i grandi e graditi servizi resi da questi militi nella conquista del regno di Sicilia. Giordano, in quel periodo era Capitano Generale e Vicario del re nell’isola di Corfù in Grecia. Ebbe per consorte la ricchissima Rosata d’Albidona, che portò in dote terre e castelli.
Nel 1272, l’atra metà che comprendeva probabilmente anche il feudo di Santo Stefano, Carlo d’Angiò l’assegna a Guglielmo di Amendolea, barone di Calatabiano. Ritiratosi dopo pochi anni, la sua parte passa, nel 1280, a Manassaio, figlio primogenito del quondam Stefano de Ramagio. Nel 1284 va a Pietro de Foliuso, che morì pochi anni dopo. Finché, morto Giordano, nel 1291 tutto il feudo viene acquisito dai Sanfelice e diviso ai due eredi: metà alla figlia Beatrice, sposata con Giovanni Vigerio, che sui documenti è il titolare del feudo; l’altra metà va al figlio Giordano che per distinguerlo dal padre lo chiamavano Giordanello. Essendo minorenne, i feudi venivano amministrati dal fratello del padre, Berlingerio, che in quel periodo ricopriva la carica di Giustiziere di Basilicata. Giordanello, studiò legge. Arrivato alla maggiore età, nel 1309 fu dal re Roberto d’Angiò (figlio di Carlo II, morto a maggio di quell’anno), creato Giudice d’appello alla Gran Corte Reale.
Nel 1276, Scandale vecchio contava 431 abitanti, San Leone 300, Santo Stefano 605 e Turrotio 904. Nel XII secolo Turrotio (in dialetto Turrutio) era un centro importante, con una bella parrocchia che si chiamava San Domenico. Da allora, però, tutta la zona è meglio conosciuta come Corazzo (oggi, frazione di Scandale) perché, nel 1225, tutti i terreni compresi tra il fiume Neto e la contrada di Fota, furono assegnati, da re Federico II, ai monaci dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo, che avevano la sede generale nei pressi di Carlopoli, ai confini di Soveria Mannelli in provincia di Catanzaro. Danneggiata dal terremoto del 1783, fu progressivamente abbandonata e definitivamente soppressa nel 1808: ne restano solo i ruderi. Nel 1325, Scandale è menzionata per il pagamento delle decime nel Rationes Decimarum Italiae Apulia-Lucania-Calabria.
Tra il 1348 e il 1351, arriva, proveniente dall’Oriente, la terribile peste nera, che colpisce l’Italia e l’Europa, riducendone di un terzo la popolazione e determinò la scomparsa di numerosi centri abitati. Del vecchio casale di Scandale non si hanno più notizie. Ma, anche se disabitato, il territorio, teoricamente, risulta, nel 1419, in possesso di Giacomo Sanfelice. In realtà, dal 1402, la contea di Santa Severina, e quindi anche il territorio di Scandale, passa a Niccolò Ruffo, marchese di Crotone, e successivamente (1430) alla figlia Enrichetta che la recò in dote al marito Antonio Centelles. Nel 1444 Alfonso d’Aragona concedeva a Santa Severina una serie di capitoli dove erano compresi i casali di Cutro, San Giovanni Minagò, San Leone, Scandale e Santo Stefano de Ferrato, “li quali licet non habeteno che sù disfacti”. Dalla documentazione storica, risulta che il piccolo feudo di Santo Stefano che si trovava sotto Scandale, fu venduto il 10 dicembre del 1423 ad Enrichetto de Cerseto. Nel 1482, ormai disabitato, risulta in possesso di Giovanni de Colle. La parrocchia di Santo Stefano de Ferrato è segnalata già all’inizio del XII secolo. Nel 1326 risulta che il suo parroco, che si chiamava Achimus, pagò due tarì di tasse.

Nel 1496, il re Federico d'Aragona, concede ad Andrea Carafa, dietro il versamento di 9 mila ducati, la contea di Santa Severina. Il paese di Scandale vecchio, risultava ancora disabitato nel 1505, quando la monarchia spagnola aggiornò a fini fiscali la popolazione del Regno di Napoli, come si rileva dal Levamentum Foculariorum Regni. Comunque, i Sanfelice si ritenevano ancora i legittimi proprietari del territorio di Scandale: infatti, da un mandato regio del 1515, risulta che il nobile cosentino Giulio Sanfelice, barone di Amendolara, tentò di riprendersi i feudi di Scandale, San Leone e Turrotio, da lui già posseduti, ma confiscatigli nel 1503 da Consalvo di Cordova per la sua condotta filo francese. La causa che ne seguì fu vinta in un primo tempo da Carafa ma, nel 1540, ancora era in corso una lite giudiziaria fra il conte di Santa Severina e Luca e Carlo Sanfelice.
La Diocesi di San Leone (conosciuta anticamente come Leonia) fu soppressa da Pio V nel 1571. Il feudo di Santo Stefano, scomparve nel Settecento.

L'odierna Scandale è stata fondata nel 1555 dal conte Galeotto Carafa di Santa Severina, su una collina conosciuta all’epoca col nome di Gaudioso, dove venne edificato il primo palazzo signorile, tuttora esistente, proprietà della famiglia Catanzaro già dall’Ottocento. Nei pressi, sorgeva la chiesa della Pietà, anticamente chiamata Chiesa delle Cinque Piaghe, scomparsa all’inizio dell’Ottocento, che segnava anche l’inizio del paese. Sul posto, la famiglia Cizza vi costruì un palazzo signorile (ora sostituito da una nuova costruzione), che per tanti anni fu sede della caserma dei Carabinieri.
Nel 1589, Scandale-Gaudioso è un casale, abitato da cinquecento Greci e centocinquanta Latini. Dal Cinquecento in poi segue le vicende del feudo di Santa Severina, in possesso di Galeotto e dei suoi discendenti fino al 1599. Passato al demanio regio, nel 1608 fu venduto a Vincenzo Ruffo, principe di Scilla, per la somma di 82 mila ducati. Gli succedette, dal 1616 al 1650, la figlia Giovanna. Il discendente, Francesco Maria, vendette il feudo al nobile crotonese Carlo Sculco. Nel 1687 con la morte, senza eredi, di Domenico Sculco il feudo venne incamerato dalla regia corte che lo mise all’asta. Nel gennaio del 1691 fu comprato per 93 mila ducati da donna Cecilia Carrara (vedova di Francesco Grutther) per il figlio Antonio. I Grutther, che in realtà si chiamavano Greuther, tennero il feudo fino alla definitiva scomparsa del feudalesimo, abolito con un decreto di Giuseppe Bonaparte il 2 agosto 1806.

Nel 1799 gli scandalesi, con 80 uomini comandati da uno dei primi baroni Drammis, si unirono all'esercito della Santafede del cardinale Fabrizio Ruffo. Il 26 luglio del 1806, durante l’occupazione francese della Calabria, il generale Reynier ordinò al generale Berthier di saccheggiarono il paese. Nello scontro che seguì, morirono 25 scandalesi ed un numero imprecisato di soldati francesi. Come risulta dalle sue memorie, al saccheggio partecipò anche il famoso calabrese Guglielmo Pepe, allora giovane ufficiale di Napoleone.
Nel terremoto del 1832 crollarono decine di case, sette persone morirono e molte rimasero ferite. Nell’Ottocento, la maggior parte del territorio risulta in possesso della famiglia dei baroni Drammis. Il suo maggior esponente, il barone Salvatore Drammis, è stato per decine di anni, contemporaneamente capo della Guardia Nazionale, Sindaco, Consigliere provinciale per il Dipartimento di Crotone.

Su mandato dell’UNESCO, nel 1955 il prof. Manlio Rossi Doria svolse a Scandale un’indagine sulla Riforma agraria: la relazione finale, tenuta in archivio per tanti anni, è stata pubblicata nel 2007 dall’'Ancora del Mediterraneo di Napoli, col titolo Un paese di Calabria. Una sintesi era stata precedentemente pubblicata dal “Bollettino delle ricerche sociali”, anno I, numero 3/4, maggio-luglio 1961 col titolo: Studio di una comunità rurale interessata alla riforma agraria: Scandale, in provincia di Catanzaro.
Nel centro storico del paese (tra il 1960 ed il 1961), il regista Renato Castellani girò per conto della Cineriz molte scene del film “Il Brigante”, tratto da un romanzo del 1951 di Giuseppe Berto. Nominato per il Leone d’Oro, ebbe soltanto il premio FIPRESCI alla Mostra del Cinema di Venezia del 1961. La copia originale del film è stata restaurata e dura 3 ore.
Il paese è famoso per la Sagra del fico d’India, che si svolge ogni anno alla fine di agosto. Nella frazione Corazzo, in località Scrivo, anni fa S.E. Rev.ma Mons. Luigi Cantafora, nato a Scandale nel 1943, fondò L’Eremo di Santa Croce.

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Per un approfondimento sulla storia di Scandale e della Diocesi di San Leone è necessario consultare almeno le seguenti opere: Luigi Pigorini, Necropoli preromana nel Comune di Scandale, Bollettino di Paletnologia Italiana, 1902. Andrea Pesavento, La Cattedrale scomparsa di San Leone “Graecus”, in “la ProvinciaKR”, n° 15-16, 1998. La soppressione del vescovato di San Leone, “la ProvinciaKR”, 4 agosto 2006 n° 31. Il casale di Scandale nel Medioevo, pubblicato su La Provincia KR n° 45-47/2006. Il casale ed il feudo di Santo Stefano in territorio di Santa Severina, pubblicato su La Provincia KR nr. 3-12 /2007. Dal casale “Torlocio” alla contrada “Turrotio”, pubblicato su La Provincia KR nr. 40-42/2006. Fabata [Fota] da casale a feudo rustico. Storia di un abitato scomparso in territorio di Crotone, pubblicato su La Provincia KR nr. 43-44/2006. I mulini di Corazzo sul fiume Neto, pubblicato su La Provincia KR nr. 36-39/2006. Apprezzo della città di Santa Severina con i casali di San Mauro e Scandale, la Provinciakr, gennaio e febbraio 2008. Il casale di Scandale,“la Provinciakr”, maggio 2008 n°20. Francesco Le Pera, La Diocesi di San Leone (prima parte), Quaderni Siberenensi, Edizioni Publisfera, San Giovanni in Fiore (CS), anno VII, dicembre 2005, pag. 31. La Diocesi di San Leone (seconda parte), anno VIII, dicembre 2006, pag. 13. San Leone nei documenti storici (terza parte), anno VIII, dicembre 2006, pag. 29.
Bernardo Silvio, Santa Severina nella vita calabrese dai tempi più remoti ai nostri giorni, Napoli, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, 1960. Giuseppe Caridi, Aspetti e momenti della vita di un casale ripopolato: Scandale nel Seicento, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, anno LII, 1985, Roma, Tipografia della Pace, 1987. Uno «stato» feudale nel Mezzogiorno spagnolo, Roma, Gangemi Editore, 1988. Lettieri Carolina, Scandale nella storia dei suoi emigranti, Crotone, La Tipografica, 1993. Iginio Carvelli, Rughe di pietra, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, 1995. Audia Antonio, Biografia di Antonio Barberio, Crotone, La Stamperia, 1996. Luigi Scalise, Scandale e Leonia, Salerno, Edizioni Cronache Italiane, 1999. Le Pera Francesco – Pancari Salvatore, Tra sacro e profano. Santa Severina, la Metropolia, i suoi metropoliti, San Giovanni in fiore, Edizioni Publisfera, 2005. AA.VV., I Luminari, a cura della Pro Loco “Gaudioso”, Edizioni Marra, Salerno 1997.
Il ‘900 a Scandale, Stampe digitali Vincenzo Marino, Scandale, 2006. Luigi Santoro, Storia di Scandale, Roma, Gangemi 2007. Manlio Rossi-Doria, Un paese di Calabria [Scandale], L'Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2007. Oliverio Rosa, Pane e fichi secchi, Editoriale Progetto 2000, Cosenza, 2010. Ezio Scaramuzzino, Violetta spensierata e altri racconti, Gruppo Editoriale l’Espresso, 2012. Callegari Gian Paolo, I Baroni, Garzanti 1950. Calabria ridestata, in “Almanacco Calabrese”, 1956. Janchicedda, Gherardo Casini Editore, Roma 1956.



Quando andavamo in Via Rino Gaetano

Scandale - Inaugurazione di Via Rino Gaetano in alcune foto By Ros






Come eravamo

Volontari della Pro Loco di Scandale con il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama

Massime e aforismi - Nicolas de Chamfort

Nicolas de Chamfort

“La società è composta di due grandi classi: quelli che han più roba da mangiare che appetito, e quelli che han più appetito che roba da mangiare”


Nicolas de Chamfort
Sébastien-Roch Nicolas, noto come Chamfort
Clermont-Ferrand 1741 – Parigi 1794
Scrittore e aforista francese


giovedì 1 gennaio 2015

Buon Anno


Un Buon Anno anche all'Unione Sportiva Scandale (foto By Ros)

Piper Club Scandale

Il Piper Club di via Roma a Scandale in alcune foto By Ros