giovedì 7 gennaio 2010

Spezziamo una lancia a favore dei Borboni di Napoli.

Ferdinando II di Borbone (a sinistra nella foto), fu un re energico e riformatore, ma risoluto a mantenere l’assolutismo illuminato. Iniziò l’industrializzazione del Mezzogiorno, ma la sua politica lo rese inviso ai massoni e agli inglesi che lo ritenevano un pericoloso rivale.


Il 22 maggio 1859 moriva Ferdinando II, che i giornali dell’epoca chiamavano “Re Bomba”. All’erede Francesco II lasciò un regno ricco e moderno per quei tempi, con buona pace degli storici rinascimentali che ne parlano sempre male per giustificare l’impresa garibaldina, diretta e finanziata dalla Massoneria anticattolica inglese e italiana. Sui libri di scuola il termine “Borbonico” è sinonimo di oscurantismo e inefficienza. In realtà, c’era una certa ricchezza artistica e culturale ed un benessere materiale, commerciale e industriale molto consistente.

No si può dimenticare come proprio sotto i Borboni ci fu la riscoperta della Magna Grecia, con il ritrovamento delle Tavole di Eraclea affiorate nel 1732. L’inizio delle campagne di scavi di Ercolano e Pompei, e in Calabria quelle archeologiche avviate a Locri da Domenico Venuti, allora direttore della Real Fabbrica Ferdinandea delle Porcellane. Nel 1839, anche per dare impulso all’industria, Ferdinando fece costruire la prima ferrovia della penisola che andava da Napoli a Portici. Mentre la Torino-Moncalieri fu costruita in Piemonte dieci anni dopo ed era lunga la metà. La flotta navale dei Borboni era la prima del mediterraneo con quattromila imbarcazioni. I più importanti cantieri navali del tempo erano quelli di Castellammare di Stabia, dove fu costruito il primo vaporetto. Le riserve auree del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia erano molto consistenti, tanto che Garibaldi si affretto a trasferirle al Piemonte che le adoperò per togliersi molti debiti di guerra accumulati dal 1848 in poi.

C’erano i setifici di San Lucido che producevano più di quelli della Lombardia, c’erano i lanifici di Arpino, oltre ai cotonifici fondati da industriali svizzeri, francesi e napoletani. Nel 1847 in Calabria era stata abolita l’imposta sul macinato, e alla fine del Regno borbonico le principali città potevano comunicare col Telegrafo. Vennero costruiti Teatri a Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza e a Mongiana funzionavano le Regie Ferriere, un polo siderurgico con circa duemila operai che subito dopo l’Unità d’Italia fu smantellato. All’improvviso arrivarono i Mille, seguiti dai “piemontesi” o “sardo-garibaldini”, come li chiamavano allora, che agendo con una mentalità precoloniale cancellarono tutto, e le popolazioni meridionali dopo pochi anni furono costrette ad emigrare grazie alla “libertà” e alla “democrazia” che ci portarono il massone don Peppino Garibaldi e i suoi compagni di merende. Con questo non voglio giustificare in toto Ferdinando II che con i rivoluzionari fu molto duro, né i briganti che combattevano sì contro l’invasore da una parte, ma dall’altra spesso saccheggiavano e uccidevano, autorizzando i repressori ad applicare il diritto di guerra adottato all’uopo dalla famigerata legge Pica.