mercoledì 27 gennaio 2010

Il confinato politico Rosario Colaianni.

Compagni in piazza Oberdan. Archivio fotografico Luigi Aprigliano, Corso Umberto I, Scandale (Crotone).


Il 26 novembre 1946 un telegramma dei Carabinieri di Strongoli al Ministero dell’Interno, conservato a Roma all’Archivio Centrale dello Stato, segnalava che:


“Nelle prime ore del giorno 22 corrente, circa 40 contadini di Scandale (CZ), capeggiati dal comunista Rosario Colaianni fu Rocco di anni 55, del luogo, occupavano circa 27 ettari di terreno in località Biscigliotto, Valle Ventria e Rondinella nel comune di Scandale, proprietà del barone Zurlo, residente a Crotone. Gli occupanti procedevano alla spartizione delle terre mediante picchettazione ed iniziando alcune lavorazioni.

Intervenuta l’Arma di Santa Severina si procedeva all’arresto del Colaianni”.


Rosario Colaianni in un ricordo del prof. Manlio Rossi-Doria che lo conobbe a Scandale nel 1955. Il passo fa parte del libro “Un paese di Calabria”, l’Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2007.


“Colaianni ha ormai passato i 65 anni; è nato e vissuto a Martina Franca (Taranto) come sua moglie, fino al 1938, quando per il suo “sovversivismo” fu diffidato dalla Polizia e se ne venne in Calabria, prima a Cariati a fare il carbonaro sulle montagne, poi nel 1940 qui a Scandale, dove sera dato, prima della riforma, una precisa sistemazione come ortolano nella proprietà Brescia alle porte del paese. “Sono stato sempre un ribelle, fin nel ventre di mia madre” diceva con un lampo fiero e ingenuo negli occhi, nel raccontare queste sue lontane vicende e si capisce come, caduto il fascismo, conosciuto e stimato da tutti come un nemico del regime, sia divenuto un capo per i contadini e, fondata nel 1945 la cooperativa “l’Avanti”, ne sia divenuto il presidente. Parlandogli mi pareva di parlare a uno dei tanti strambi e generosi italiani, che di volta in volta sono stati garibaldini, anticlericali, anarchici, socialisti e comunisti, innestando un generoso e coraggioso sentimento dell’indipendenza e della giustizia sul fondo di una inguaribile ingenuità e di un pratico buon senso. Ho l’impressione che oggi l’abbiano un po’ messo da parte e che tutti lo guardino più con indulgenza che con considerazione. Lui d’altra parte, che ha avuto come gli altri la sua quota, si lagna come gli altri, ma più degli altri riconosce il miglioramento conseguito e l’opportunità di trattare le questioni, per così dire, “riformisticamente”. La cooperativa che ha presieduto per sei-sette anni, sebbene non sia sciolta, è oggi praticamente finita, dopo le assegnazioni dell’Ente, da un lato, e l’abile azione dei proprietari non espropriati, dall’altro, le hanno strappato tutte le terre coltivate e suddivise che all’inizio del 1950 ammontavano (dice lui) a più di 4000 tomoli, ma nel fatto (come vedrò più tardi) a meno di 700. Il vecchio Colaianni è un po’ come la cooperativa, una bandiera senza reggimento dietro e invece di sviluppare i motivi di una politica preferisce raccontarmi il caso capitatogli nel 1950 in occasione della Santa Missione che appunto in quell’anno (come ricordano le cinque croci nere alle porte del paese) si tenne a Scandale. Recatosi a confessarsi dal padre missionario (forse lo stesso Don Roberto, del quale racconterò più tardi la storia) e richiesto di quali peccati avesse commessi, stava per rispondere quando il padre gli chiese in che termini fosse con i compagni : “ne sono il capo, risposi è me ne vanto ed ogni sera, dopo fatto il segno della croce, bacio l’immagine del mio caro compagno Togliatti”. “Allora può andare, che assoluzione non ne puoi avere”. “E uscendo dalla chiesa, concludeva il racconto Colaianni, mostravo con fierezza a quei corvacchieri la tessera del partito e la baciavo”.