mercoledì 16 giugno 2010

Le fontane di Scandale: I CANALI

I Canali in una foto pubblicata dal sito di Grisi


Riporto su questo blog, per chi non avesse avuto modo di leggerlo precedentemente, un interessante articolo di Fra Memoria di Leonia, pubblicato sul sito della Pro Loco nel 2008.


I Canali

Una volta, il luogo preferito di noi ragazzi Scandalesi era la zona dei “Canali”. Forse perché aveva il sapore del proibito. Trasgredendo alle raccomandazioni dei genitori, andavamo ai “Canali”, cioè al lavatoio pubblico, per un tuffo nelle fredde acque che scorrevano dall’antico serbatoio e riempivano le “cipie”, due vasche di pietra, lastricate all’interno di cemento. La grande che aveva ai bordi lastre di pietra scannellate posate inclinate, veniva utilizzata per la prima lavatura mentre la cipia piccola serviva per la sciacquatura.

La cipia grande era il nostro mare. Il mare vero ce lo proibiva la povertà. Per Crotone c’era soltanto una littorina ma anche volendo, non avevamo i soldi per acquistare il biglietto di andata e ritorno. Il mare era nella nostra fantasia che attingeva immagini suggestive dai racconti dei nonni. Quello della cipia era un mare senza onde e senza pesci con i fondali, spesso melmosi, dove la sciacquatura del bucato, depositava cenere e sporcizia.

Ai canali andavano tutti i giorni le lavandaie di mestiere. Erano donne bisognose al servizio delle famiglie possidenti. La mattina si caricavano una cesta sul capo con i panni sporchi e scendevano ai “Canali”. Arrivate sul piazzale, preparavano la “lissia”: accendevano il fuoco sotto i “quadaruni” e quando bolliva l’acqua miscelata con la cenere, vi calavano i panni sporchi più resistenti. (la parola dialettale “lissia”: analogia con “lisciva”, la miscela di carbonato sodico e potassio).

Un lavoro duro e sacrificato, specie d’inverno. Nella mia mente di bambino sono rimaste impresse, indelebili, immagini di donne anziane dal volto rugoso e scarno, invecchiate anzi tempo, affaticate nel fare la spola tra il quadaruno e la cipia. Una in particolare, si chiamava Mica, non dava segni di tristezza. Era contenta del suo lavoro perché pane per la sua numerosa figliolanza.

D’estate, nella pausa della “stinnitura”, le lavandaie si sdraiavano sull’erba di fronte al sole. Dicevano: “nasciucamo a vesta e puri l’ossa”. Già… le ossa! Anche allora c’erano i reumatismi ma mancavano le medicine.

Ai “Canali” non andavano soltanto le lavandaie di mestiere. Chi non poteva permettersi di pagare una lavandaia, andava al lavatoio pubblico, di solito in compagnia di qualche figlia. Le giovinette creavano un po’ d’allegria con canti e furtive movenze sensuali. Anche loro, guardando la cipia pensavano al mare! Le signorinelle ardimentose si bagnavano a bella posta le vesti per poi andare a sdraiarsi sul prato. Ridevano, cantavano e sapevano che ragazzi maliziosi si nascondevano dietro gli scini (lentisco), nella parte opposta del prato, a fare i guardoni con la smania di cogliere qualche ginocchio scoperto o posizioni scomposte delle “lucertole al sole”.

Giochi innocenti o maliziosi ma unica possibilità per un adolescente di riempirsi gli occhi di un pezzo di corpo femminile mentre l’eccitazione spingeva alla masturbazione di gruppo.

I “Canali” ora resistono all’usura del tempo e sono i testimoni di tante segrete cose. Oh se potessero raccontare i furtivi incontri amorosi a cui hanno assistito sul calare della sera! Avremmo uno spaccato di storia paesana molto interessante perché proprio ai “Canali” si davano appuntamento per sfidarsi, come i gli antichi cavalieri, i pretendenti di amori contrastati.

I Canali ora sono là a cantare le loro poesie, a sprigionare note di musica dolce e forse malinconica. Non ci sono più le lavandaie, né il vociare delle giovinette. Il progresso della tecnologia l’ha lasciati soli da quando in ogni casa è entrata la lavatrice e le donne non hanno più la fatica del bucato a mano . Non c’è più il piccolo prato per fare le lucertole al sole, né i ragazzi vanno per fare i guardoni o per tuffarsi nelle acque fredde delle cipie. Ora si va al mare vero e sulla sabbia non si scopre solo il ginocchio ma il corpo intero, a volte arrotolato sotto un ombrellone, a volte provocante sopra un telo.

I “Canali” rappresentano un pezzo della nostra storia. Sono un monumento degno d’ogni rispetto e meritevole d’ogni ricordo. Quando nel 1961, si dovette aggiornare la toponomastica di Scandale, il compito venne affidato ai rilevatori del censimento della popolazione, scelti dal Comune nelle persone dei giovani studenti Giuseppe Nicoletta, Luigi Demme, Giuseppe Rizzuto e Luigi Carvelli. Sulla strada che porta ai “Canali” erano da qualche anno sorte delle abitazioni. Bisognava allora dare un nome a questa strada e fu proprio Luigi Demme che propose di intitolarla “Via Fontane vecchie”. Giusto riconoscimento, dunque, ai “Canali” pienamente condiviso, come si fa con un benefattore dell’umanità, con un protagonista al servizio gratuito della gente.

Erano stati i nostri antenati a creare questa struttura per ricavare l’acqua necessaria a dissetare la popolazione. In fondo alla valle del paese individuarono una grande falda acquifera, e li scavarono due pozzi canalizzando il flusso dell’acqua nel serbatoio da dove le due fontane – i canali - da circa un secolo e mezzo scorrono giorno e notte sempre con lo stesso getto, sempre con la stessa armonia, sempre con lo stesso canto, sempre con la poesia che non invecchia mai ed emoziona ancora le menti di quanti non hanno spezzato i fili sensibili del cuore.