Noi ci dimentichiamo spesso delle persone emigrate da Scandale decine di anni fa, ma loro non si dimenticano mai del loro piccolo paese dove sono nati. Proprio pochi giorni fa vedevo per caso sul sito di Cesare Grisi, nella sezione “avvenimenti 2010”, un articolo con delle foto del nostro compaesano Francesco Cirillo (Ciccio, per gli amici) che ci ricorda, con parole semplici, i festeggiamenti dei 50 anni trascorsi dalla famiglia nel lontano Canada, assieme a Domenico, Italo, Giuseppe, Alberto e la sorella Emma, figli di Flavio Cirillo e di Amelia Noce. Riporto di seguito solo alcuni passi del racconto di questo lungo viaggio che, nel suo piccolo, fa comunque parte della storia di Scandale e dei suoi emigranti:
“Con grande rammarico e apprensione per un futuro incerto, insieme alla nostra cara mamma, lasciammo la nostra amata Scandale e i nostri parenti il 22 aprile 1960, alla volta di Napoli dove ci imbarcammo sulla M/N Augustus.
Dopo un lungo viaggio in mare durato undici giorni, sbarcammo ad Halifax, Nova Scotia, il cinque maggio”. [...]
“Il 5 maggio, all’alba, la nave approda al Pier 21 (Molo 21). Si scende dalla nave. In un grande edificio, oggi Museo dell’Emigrazione, che, con grande emozione, ebbi l’occasione di vistare nel 2009, si passa da un salone ad un altro per la procedura: controllo passaporti, certificato medico, interrogazioni in inglese con l’assistenza di un interprete – c’è gente di varie nazionalità. Per la prima volta ci viene assegnato un numero, il codice fiscale. Si passa alla dogana. Vengono ispezionati i bauli e le valige, alcune di cartone, che contengono i pochi averi che questi poveri emigranti portano con se. Poi, per opera dell’Ufficio Cattolico Canadese per l’Emigrazione, ci vengono dati dei soldi, dei dollari, che sarebbero serviti per il cibo durante il viaggio in treno.
Nel tardo pomeriggio si forma un’altra fila. Ci fanno salire in treno. Ci assegnano i posti in seconda classe. Non ci sono cuccette. I sedili di pelle si possono allungare – per una notte e un giorno questi serviranno da sedile e da lettino fino a Montreal. Qui si cambia sul treno della CNR (Canadian National Railway). Un interprete italiano ci dice che il viaggio per attraversare il Canada dall’Atlantico al Pacifico dura cinque lunghi giorni. Di nuovo non ci sono cuccette ma sedili di velluto che si allungano e un vagone ristorante. La sola cosa da fare è guardare per i finestrini e ammirare l’immensità di questo Paese: le montagne ancora coperte di neve e i laghi, la flora e la fauna, le praterie immense dove già si fa il raccolto del grano – per noi cosa strana perché è ancora primavera - poi le Montagne Rocciose della Columbia Britannica.
All’alba del dieci, il treno attraversa lentamente il ponte arancione che io riconosco da una cartolina – è il Pattullo. Finalmente siamo arrivati a casa. Il treno si ferma nella stazione di New Westminster, a
Incomincia così la nostra vita in Canada. In terra di emigrazione non tutto è oro quello che luccica. La nostra vita, come quella di tutti gli emigrati, non è stata tutta rose, ci sono state anche le spine: una lingua sconosciuta, una struttura scolastica diversa dalla nostra con anche un po’ di bullismo, gente di nazionalità, lingue e culture diverse che, come noi, è venuta in cerca di un futuro migliore; gente diversa, ma accogliente, che fa del Canada quel “melting pot” che lo rende noto in tutto il mondo, dove tutti, immigrati o rifugiati, abbiamo gli stessi diritti: praticare la nostra lingua, la nostra cultura e la nostra religione garantitici dalla Costituzione e dalla Carta dei Diritti Civili.
Nel ’60 la nostra famiglia aumenta di numero con la nascita di Fernando e nel ’63 con la nascita di Rosalba.
Abbiamo perseverato nelle avversità e con l’aiuto di Dio e con la nostra buona volontà siamo riusciti bene nella vita. Io sono professore di lingue romanze e ormai in pensione, Domenico e Alberto sono parrucchieri e proprietari dei propri saloni, Emma è commessa in un negozio di abbigliamento, Italo è carrozziere e Giuseppe editore di riviste e guide telefoniche. Fernando è vetraio con ditta propria, e Rosalba, segretaria di azienda.
Anche se sono trascorsi cinquanta anni da quando lasciammo la nostra patria, ci sentiamo fieri di essere italiani e soprattutto Scandalesi. Come tali, conserviamo il nostro dialetto, la nostra cultura e le nostre tradizioni, specialmente quelle culinarie, che cerchiamo di tramandare ai nostri figli che, come noi, sono fieri di chiamarsi italo-canadesi”.