Gian Paolo Callegari (ultimo a destra)
a Stromboli nel 1949 insieme a Roberto Rossellini e Sergio Amidei, durante la
preparazione di un film.
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Come abbiamo già scritto
nella “Storia di Scandale”, Gian Paolo Callegari scrisse due romanzi, I Baroni e Janchicedda, prendendo spunto dai racconti di Nicola Tiano che,
come sappiamo, lavorò per tanti anni con la famiglia Drammis. Soprattutto sul
primo romanzo, molti giornalisti scissero vari articoli pubblicati da giornali
e riviste dell’epoca. Per esempio, La
Nazione Italiana
del 9 luglio 19 50,
riporta a pagina tre, un articolo molto lungo di Aldo Capasso dal titolo Romanzo della decadenza Borbonica che,
fra le altre cose, diceva:
“I Baroni”: romanzo della decadenza borbonica
“Nei
Baroni, con un’ampiezza e fermezza di
disegno di “affresco storico”, il Callegari riprende il suo quieto eppure
appassionato esame del Sud. Ecco la
Calabria degli ultimissimi anni di Ferdinando, la Calabria di
“Francesciello”, la Calabria
attraversata dalle ascendenti colonne di “Don Peppino” Garibaldi. Giorni di
decadenza, di sfacelo: annunziati già negli anni da sinistri scricchiolii: con
la dinastia borbonica crolla la grande nobiltà terriera, crolla una casta e una
tradizione. In questi crolli fatali della storia c’è sempre qualcosa di triste:
e un poeta, un artista, può compiangerli, recitarne il commosso epicedio, anche
senza essere “antiprogressivo” nelle sue idee politiche e sociali. E c’è, in
essi crolli, qualcosa di grandioso, vitalissimo, consolante: la fatalità che vita
nuova sorga dalla morte delle cose vecchie, che gli uomini camminino e si
appassionino, che “vadano avanti”. Ed anche questo un artista può, con gioia Whitmaniana,
cantare. Per dire il vero, il chiuso e imbronciato Callegari non mostra di
trarre letizia né dall’una né dall’altra cosa. Non bello ciò che cade non bello
ciò che sorge: il significato profondo del libro sembra essere che gli uomini
sono cosa meschina in tutti i regimi e in tutte le età.
È
significativo, in primo luogo, ciò che nel romanzo manca: il Callegari sa
benissimo che, nello sfacelo della, ora dura e ora paternalistica, monarchia
borbonica, sussisteva una élite
protesa verso tempi nuovi di maggiore libertà, di uguaglianza giuridica,, di
sogni democratici: élite in cui
figuravano anche patrizi delle più vecchie famiglie”.