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Il Parco archeologico di Sibari allagato in una foto dei Vigili del Fuoco |
Il fango di Sybaris
Sybaris è un nome che nel mondo greco
emerge prepotentemente ogni qual volta che si parla di lusso, opulenza, ozio voluttuoso:
espressioni proverbiali che popolano l'immaginario degli scrittori antichi,
colpiti dalla tramandata e ostentata ricchezza di una polis leggendaria, dove
la vegetazione era così florida da dispensare ovunque l'ombra a beneficio di
almeno centomila abitanti (altre fonti, probabilmente esagerate, parlano
addirittura di trecentomila residenti), capace di controllare venticinque città
e quattro popoli ancora alla fine del VI sec. a.C., quando Roma era ancora un
centro pastorale su cui signoreggiavano i principi etruschi.
Sybaris è il paradigma di quella
arcaica grandezza vagheggiata che si sintetizza in due parole: Megale Hellas,
Magna Grecia, la primavera occidentale di una civiltà in grado di originare la
ricerca scientifica, la filosofia, il concetto autentico di democrazia e
cittadinanza.
La Storia non è mai
stata tenera con Sybaris. Sconfitta e rifondata più volte, a partire dalla
rovinosa ed epocale sconfitta del 510
a.C., sulle ceneri delle devastazioni dei Crotoniati
sorsero Thurii e Copia, appendici sontuose eppure imparagonabili allo splendore
primigenio. La fondazione di Thurii sul sito della vecchia città, promossa su
iniziativa di Pericle nel 444/43 a.C., si avvalse dell'apporto di personaggi
come Ippodamo da Mileto, celebre architetto che ne progettò l'impianto
ortogonale, il sofista Protagora, che ne redasse la costituzione, oltre allo
storico Erodoto, che firmava la sua opera immortale dichiarandosene cittadino.
Ripercorrendo a ritroso le vicende di
Sybaris emerge una costante dai risvolti antitetici, di eros e thanatos, gli
effetti alternamente salvifici o mortiferi dell'acqua e del fango portate dal
Crati. C'è stato un tempo in cui al limo depositato dal fiume sulla vasta piana
su cui si adagiava la città corrispondeva la straordinaria fertilità della
zona. Ma si racconta anche della tremenda punizione inflitta dai Crotoniati
vincitori nel 510 a.C.,
che deviarono il corso del Crati sulle rovine fumanti della polis sconfitta.
Ma torniamo al presente. La cronaca
odierna ci riporta la notizia sconvolgente di un immenso parco archeologico,
che per cinquecento ettari circoscrive le imponenti vestigia di un passato
trimillenario, sepolto da quattro metri di detriti alluvionali. Le ampie
plateiai concepite da Ippodamo, il grande santuario di Casa Bianca, meraviglie
invidiate da tutto il mondo, giacciono sommerse dal fango.
Un evento né imprevisto né
imprevedibile, come spesso accade sul versante della tutela dei beni culturali
italiani, Pompei docet. Un rischio che aleggiava perennemente all'occhio del
pubblico in visita al parco, puntualmente segnalato dai ricercatori impegnati
nella missione quotidiana dura e appagante del riesumare mosaici, santuari ed
ogni sorta di prodigiosa testimonianza materiale dell'antichità. Se l'area
degli scavi risulta più bassa di cinque - sei metri rispetto all'adiacente
bacino fluviale del Crati ne consegue che ogni pioggia torrenziale rappresenta
una seria minaccia di allagamento. Eppure nessun provvedimento in proposito è
stato intrapreso, ed ora i costi legati alla rimozione del fango superano di
gran lunga la cifra che sarebbe bastata per dotare il parco archeologico di un
sistema utile per prevenirne l'allagamento.
Episodi del genere, se da un lato
rappresentano indubbiamente delle conseguenze scellerate di negligenze
specifiche e circostanziate da mettere in relazione con l'allagamento di
Sybaris, d'altra parte si ascrivono a considerazioni di ordine generale, che
richiamano la strafottenza sistematica nei confronti del patrimonio
storico-culturale locale di cui la maggioranza dei calabresi risulta colpevole.
Una colpa dettata dall'ignoranza, dalla
ormai radicata tendenza a considerare la valorizzazione della propria Storia
non già in qualità di veicolo di resurrezione economica e sociale, ma come
sterile strumento di masturbazione ideologica limitato ad intellettuali
perdigiorno che vivono nel passato; oppure come slogan sbandierato dal
politicante di turno – di qualsiasi sponda (anche se il termine corretto
sarebbe “deriva”) partitica – che propagandisticamente si propone come il
paladino della cultura per raccattare qualche consenso.
La verità è che i posteri non meritano
l'eredità degli avi. Il peso dei millenni che separa il fulgore di ieri dagli
acquitrini di oggi è il discrimine fra la civiltà che c'era e la barbarie che
resta qui in Calabria. Servono misure urgenti e radicali, che coinvolgano
necessariamente l'educazione delle nuove generazioni. Obbligo scolastico di
studio della storia locale, de facto già in vigore nel Nord Italia, strategie
di tutela, conservazione, divulgazione e valorizzazione ad ampio raggio.
Un progetto a lungo termine di
alfabetizzazione etica, in definitiva, capace di restituire una parvenza di
dignità ad un popolo ormai cronicamente incapace di custodire le memorie dei
propri Padri.
Articolo di Natale Zappalà pubblicato lunedì
28 gennaio 2013
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Il Parco archeologico di Sibari in due foto di Alfredo Salzano |