sabato 12 dicembre 2009

La questione archeologica di Leonia – San Leone: la parola a gli esperti.

Nella foto, presa dal sito www.agriturismoleonia.it si vede l’entrata della masseria Galloppà di Scandale, sorta a metà dell'Ottocento sulle rovine di San Leone. Secondo lo storico Pericle Maone, il muro che si vede in primo piano (ora restaurato), apparterrebbe alla cattedrale scomparsa. Nella zona sono stati trovati vari reperti archeologici, esposti nel museo locale.


Margherita Corrado, Tarda antichità e alto medioevo nell’odierna Calabria centro-orientale: il territorio di Crotone nei reperti della raccolta Attianese, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, anno LXXI, 2004, p. 24 ecc.


La provenienza di due sigilli plumbei della raccolta Attianese dal territorio di Scandale (KR), pur viziata dalla completa ignoranza di dati puntuali circa luoghi, modi e tempi del rinvenimento, implica verosimilmente la possibilità di maneggiare quanto resta di documenti ufficiali relativi ad un abitato e/o ad un complesso cultuale [del culto, della religione] anteriore alla nascita della diocesi Leonia/San Leone, modesta suffraganea della metropolia di Santa Severina ubicata in quelle contrade.

È risaputo che dove sorgeva la diocesi sono stati trovati vari reperti archeologici da un appassionato del luogo che aspettano di essere classificati.

Intanto gli esperti dicono che “in mancanza, per il momento, di dati scientificamente più puntuali, le numerose monete trovate a Galloppà, alcune delle quali finite in collezione privata, ma altre consegnate in varie occasioni al Museo Nazionale Archeologico di Crotone da appassionati locali, si distribuiscono innanzi tutto tra l’età tardo-ellenistica e, meno numerose, quelle romana imperiale, giungendo fino al III d.C. Dopo una lunga fase di stallo, la ripresa della circolazione monetaria nell’area è documentata a partire dal IX secolo grazie ad un follis di Michele III (842-867). Seguono alcuni folles anonimi di classe A risalenti all’XI, un follaro ed una frazione di follaro di Guglielmo II (1166-1189), nonché alcuni denari di Manfredi e di Carlo I d’Angiò con i quali si giunge agevolmente alla seconda metà del XIII secolo.

Da Galloppà, appunto, proverrebbero anche le bulle in esame, tutte e due circolari e con iscrizioni a lettere greche in rilievo su entrambe le facce, racchiuse rispettivamente entro cornice laureata l’una e perlinata l’altra. Ottenute grazie alla compressione di un globo di piombo tra due stampi bronzei con caratteri incisi in negativo, sono entrambe del tipo connesso alla missiva tramite un laccio in fibra vegetale o per mezzo di una striscia di carta o di pergamene fatta passare all’interno del sigillo mediante i fori d’ingresso e d’uscita aperti sull’asse mediano di quello.

Il primo esemplare, lacunoso di circa un quarto del totale e intaccato da una crepa, può tuttavia essere restituito interamente con una certa sicurezza. L’invocazione mariale contenuta nel monogramma del diritto cela il consueto “Madre di Dio proteggi il tuo servo” e permette di riconoscere nella bulla un esempio del tipo Zacos-Veglery Invocative Monograms XLVI. Al rovescio, il nome ed il titolo del mittente, resi al dativo in lettere capitali distribuite in modo ineguale su quattro righe e precedute da una piccola croce potenziata, gettano luce su un tal Giovanni vescovo di Crotone, finora ignoto, che è il solo presule bizantino della città di cui sia pervenuto un sigillo” (Corrado, A.S.C.L., anno LXXI, 2004, p. 26).

Un sigillo in piombo da Scandale dello stesso tipo di quelli trovati a Galloppà “databile in via preliminare al IX-X secolo, acquisito anch’esso allo Stato grazie alla consegna di un privato, attende tuttora lettura, mentre alcune fibbie da cintura di VI-VII secolo, in bronzo, provengono da un sequestro effettuato in loco dalle forze dell’ordine e reso noto dalle stampa locale” (p. 26).

“Posto che la crisi iconoclasta degli inizi dell’VIII fece la fortuna dei sigilli aniconici, attestati a lungo anche dopo il ritorno delle immagini su quelli imperiali e patriarcali a partire dall’843, la cronologia della prima bulla scandalese, valutati i confronti suggeriti dall’esame paleografico e dalle abbreviazioni, può ragionevolmente essere fissata a cavallo tra l’VIII ed il IX secolo. Essa potrebbe dare vigore, perciò, sia pure con tutta la prudenza del caso in attesa delle indispensabili verifiche sul campo, alla tradizione di una Leonia proto-bizantina sorta grosso modo a mezza strada tra centri urbani costieri o sub-costieri di antica data e lunga militanza cristiana, quali Crotone e Strongoli, e realtà paleografico-religiose decisamente più giovani, nate ex novo nell’entroterra come espressione e portato di una mutata realtà insediativa.

La seconda bulla alla quale le dimensioni più contenute ed il maggior spessore delle due lamine di piombo hanno assicurato una discreta conservazione, è anch’essa aniconica. Decisamente più tarda della precedente (risale all’XI secolo), si aggiunge ai già numerosi indizi del carattere non definitivo del presunto annientamento di Leonia nell’840. Al diritto vi compare per esteso, disposta su quattro righe, non esente da errori e preceduta da una piccola croce, l’invocazione mariale e cristologica che il primo sigillo affidava alla croce monogrammatica. Nettamente diverse però, sono le dimensioni e la grafia delle lettere. Un monogramma onomastico cruciforme occupa invece il rovescio ma la sua corretta lettura è ostacolata dallo scarso rilievo dei singoli caratteri e da una certa usura delle superfici”.