“La gente che mi vede ora si asciuga col dorso
della mano una lacrima, perché pensano che farò Natale fuori casa, cosa che per
loro è peggio di un pugno in testa. Ci sono le pie donne che mandano chi un
tortellino, chi i fichi secchi, chi gli aranci, chi altro”
“Non capisco perché voglio tornare a Torino. Qui, a
parte la pelle, sto benissimo e le vere seccature cominceranno una volta a
casa; non ultimi, i vostri piagnistei. Penso di sposarmi qui e comprare un
bambino che a due anni dica già cornutu e porcherusu”
“La gente di questi paesi è di un tatto e di una
cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca.
Persino le donne che, a vedermi disteso in un campo come un morto, dicono «Este
u’ confinatu», lo fanno con una tale cadenza ellenica che io mi immagino di
essere Ibico e sono bell’è contento… niente è più greco di queste regioni
abbandonate. I colori della campagna sono greci. Rocce gialle o rosse, verdechiaro
di fichindiani e agavi, rose di leandri e gerani, a fasci dappertutto, nei
campi e lungo la ferrata, e colline spelacchiate brunoliva”
Cesare
Pavese
Santo
Stefano Belbo 1908 – Torino 1950
Scrittore
La casa dove abitava Cesare Pavese a
Brancaleone in una foto di Alfonso Morelli