Longobucco in una foto recente |
Rossano, 17 ottobre 1808
“Nello scorso mese di agosto il
battaglione ricevette l'ordine di recarsi a Longobucco per sedare una
rivolta. Gli abitanti si erano rifiutati di pagare le tasse e avevano
cacciato l'esattore dopo avere ucciso molti soldati della sua scorta.
Contro di loro si fece marciare un distaccamento di duecento uomini,
che però fu insufficiente per addentrarsi in quelle impenetrabili
montagne…
Longobucco, 12 novembre 1808
Fallita ogni possibilità di
compromesso davanti all'ostinazione di quei ribelli di cui vi ho
parlato nella lettera precedente, il battaglione ricevette l'ordine
di annientarli. Longobucco era il focolaio principale
dell'insurrezione. Il 10 novembre cinquecentosessanta uomini, divisi
in due colonne, partirono sul fare del giorno, operando in modo da
trovarsi improvvisamente al centro dei villaggi insorti. Longobucco
si trova a quindici miglia da Rossano. Le strade per raggiungerlo
sono spaventose e tutte dominate da alte montagne. Per evitare di
cadere in qualche imboscata, le nostre guide (lautamente pagate
dall'esattore delle imposte del circondario) ci condussero con
prudenza e abilità attraverso delle estese foreste dove si
incontrano solo branchi di daini e di caprioli, i soli abitanti di
questi luoghi solitari. Verso le quindici giungemmo nel bosco
convenuto per il ricongiungimento delle due colonne. La seconda era
già arrivata e ci attendeva con molta impazienza poiché le campane
dei paesi vicini suonavano a martello. Poco dopo una calca di
contadini armati prese posizione su una montagna che domina tutta la
zona. Ci preparammo subito ad attaccarla. Ma appena risuonò il
nostro passo di carica, quella moltitudine, presa dallo spavento, si
diede a una fuga disordinata. Prima che facesse notte raggiungemmo
un'altura da dove si scorge Longobucco, che è situata in una vallata
stretta, profonda e attraversata da un torrente che scorre
fragorosamente tra enormi rocce. Le alte montagne boscose che
circondano quest'orribile luogo vi spandono un colore cupo e
selvaggio che ispira un senso di desolazione. Questo borgo è abitato
da tremila persone schifose, quasi tutte chiodaioli, fabbri e
carbonai. Il governo precedente se ne serviva per sfruttare le
miniere d'argento che si trovano nelle vicinanze e che ora sono
abbandonate.
Passammo la notte sulle alture, dopo
aver stabilito una linea di fuoco per dare l'impressione di essere
una forza assai superiore. Per lungo tempo nella stretta valle si udì
un grande trambusto. Urla di spavento risuonavano da ogni parte.
Senza dubbio, gli abitanti, temendo di vederci discendere durante la
notte per mettere a ferro e a fuoco il paese, si affrettavano a porre
in salvo i loro beni e se stessi. All’alba alcuni distaccamenti
occuparono la sommità di tutte le montagne circostanti. Dopo di che
duecento uomini scesero nel villaggio. Tutti gli abitanti l'avevano
abbandonato durante la notte e non era rimasto che qualche vecchio
innocuo e il curato, che ci venne incontro implorando l'umanità e
l'indulgenza del comandante. Questi lo invitò con forza a esercitare
tutta l'autorità del suo ministero per convincere gli abitanti a
deporre le armi e a ritornare nelle loro case per non correre il
rischio di vederle saccheggiate. Successivamente una gran parte di
loro fece ritorno e la calma fu prontamente ristabilita. [...]
[Gli insorti di Longobucco si
rifugiarono in un villaggio vicino]
Ci precipitammo sul villaggio, in
gran parte circondato da un'alta muraglia, e malgrado la micidiale
scarica che ci accolse e che mise fuori causa più di venti uomini, i
guastatori sfondarono la porta. I soldati si riversarono nelle strade
come un torrente in piena; allora ebbe inizio un orribile massacro,
reso inevitabile dalla resistenza degli insorti che sparavano da
tutte le case. Questo sventurato villaggio, saccheggiato e
incendiato, subì gli inevitabili orrori che seguono ogni attacco. Il
curato, un gran numero di donne, di fanciulli e di vecchi
fortunatamente si rifugiarono in una chiesa, dove alcuni ufficiali si
recarono per proteggere questo asilo dalla brutalità dei soldati. In
questo combattimento subimmo perdite considerevoli; gli insorti,
sterminati quasi completamente, lasciarono sul campo più di duecento
morti. Molti di loro persero la vita cadendo dalle scarpate a
strapiombo, da dove cercavano di mettersi in salvo. Sfortunatamente i
principali capi della rivolta riuscirono a sfuggirci.
Brani tratti da Duret de Tavel,
Lettere dalla Calabria,
da pag. 106 in poi, Rubettino Editore, Soveria Mannelli 1996. Duret
de Tavel era un ufficiale del corpo d’occupazione francese in
Calabria negli anni 1807-1810. Le missive erano indirizzate al padre.