Bernard
de Mandeville
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“Non ho mai sostenuto né creduto che non si possa
essere virtuosi in un regno ricco e potente nello stesso modo che nel più
povero di tutti gli stati. Io credo che sia impossibile che una società si
arricchisca e si conservi per un periodo considerevole in tale situazione
fiorente, senza i vizi degli uomini”
Bernard
de Mandeville
Dordrecht
(Rotterdam) – 1670 – Hackney (Regno Unito) 1733
Medico e
pensatore britannico di origine francese
Di famiglia francese, nacque in Olanda nel 1670; Trasferitosi
a Londra dopo una laurea in medicina, si segnalò per il suo saggio polemico La favola delle api (1714). L’edizione
definitiva fu pubblicata nel 1732. Questo saggio, pubblicato all’inizio
anonimo, narra di come una società di api immorali e viziose fosse però molto
florida, e di come la stessa società fosse completamente caduta in rovina, dopo
che le api divennero morali e virtuose. Di seguito alcuni passi.
“Un numeroso sciame di api abitava un alveare
spazioso. Là, in una felice abbondanza, esse vivevano tranquille […]. Mai api
vissero sotto un governo più saggio; tuttavia mai ve ne furono di più
incostanti e di meno sodisfatte”
“Milioni di api erano occupate a soddisfare la
vanità e le ambizioni di altre api, che erano impiegate unicamente a consumare
i prodotti del lavoro delle prime. Malgrado una così grande quantità di
operaie, i desideri di queste api non erano soddisfatti. Tante operaie e tanto
lavoro potevano a malapena mantenere il lusso della metà della popolazione”
“Alcuni, con grandi capitali e pochi affanni,
facevano dei guadagni molto considerevoli. Altri, condannati a maneggiare la
falce e la vanga, non potevano guadagnarsi la vita se non col sudore della fronte
e consumando le loro forze nei mestieri più penosi. Si vedevano poi altri
applicarsi a dei lavori del tutto misteriosi, che non richiedevano né
apprendistato, né sostanze, né travagli. Tali erano i cavalieri di industria, i
parassiti, i mezzani, i giocatori, i ladri, i falsari, i maghi, i preti, e in
generale tutti coloro che, odiando la luce, sfruttavano con pratiche losche a
loro vantaggio il lavoro dei loro vicini, che non essendo essi stessi capaci di
ingannare, erano meno diffidenti. Costoro erano chiamati furfanti; ma coloro i
cui traffici erano più rispettati, anche se in sostanza poco differenti dai
primi, ricevevano un nome più onorevole”