Sopra, la protagonista del film, Serena Vergano, che era
anche una brava pittrice. La vediamo a casa sua con i suoi quadri in una foto
dell’Istituto Luce.
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Dal romanzo al set: cinema italiano
dalle origini ad oggi
Un tentativo di netta ripresa fu quello
attuato da Renato Castellani con Il
brigante (1961), derivato dall’omonimo romanzo di Giuseppe Berto, con
ambienti e figure che sul versante della commedia erano stati i “luoghi” più
visitati del suo cinema, nonché con l’adozione di elementi stilistici e di
contenuto caratteristici: “tipi” al posto di attori professionisti, precisa
definizione geografica delle vicende, intreccio fra pubblico e privato. Al
centro è la storia esemplare di Michele Rende, bandito suo malgrado, secondo le
più classiche tradizioni, in lotta con una società che si rivela un mostruoso
groviglio di pregiudizi e viltà. Accusato ingiustamente di un delitto non
commesso, il suo destino è segnato dal codice di un malinteso senso dell’onore
– fino ad una conclusione drammatica, dopo una riuscita evasione dal carcere e
la partecipazione ai moti contadini della Calabria del dopoguerra per la
rivendicazione delle terre incolte.
Il vasto affresco tracciato da
Castellani, sulla scorta del romanzo di Berto, proietta la parabola individuale
del protagonista sui fermenti della nuova realtà emersa nel dopoguerra, sicché
la sua leadership della rivolta
contadina si configura come naturale prosecuzione di una battaglia fin allora
privata. Il brigante introduce nella tradizione del neorealismo
(tendenzialmente indifferente alle ampie e complesse costruzioni narrative) una
struttura ben più articolata, che sottolinea convincentemente il rapporto
dialettico che si istituisce fra il personaggio e le tensioni di un periodo
attraversato da laceranti contraddizioni.
Se il controllo della materia è
innegabile, e se ancora una volta Castellani afferma la sua predilezione per
una realtà giovanile contemplata nella sua vitalità incorrotta e innocente, è
innegabile pure certo manierismo di alta classe che interviene a spegnere,
talvolta, nella compostezza dello stile, il fondo aspro e prepotentemente mosso
della materia: ma non al punto che non ne rilevi il desolato quadro di miseria
e di dolore che conferisce a molte pagine del Brigante un inconfondibile sapore etico.
Vito Attolini, Dal romanzo al set: cinema italiano dalle origini ad oggi, Edizioni
Dedalo, Bari, 1988, pag. 218.
L’occupazione delle terre in una scena
del film Il brigante. Foto di
proprietà dell’Archivio fotografico del giornale l’Unità di Roma.
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