domenica 8 settembre 2013

Vito Attolini - Quel “Brigante” di Castellani

Sopra, la protagonista del film, Serena Vergano, che era anche una brava pittrice. La vediamo a casa sua con i suoi quadri in una foto dell’Istituto Luce.

Dal romanzo al set: cinema italiano dalle origini ad oggi

Un tentativo di netta ripresa fu quello attuato da Renato Castellani con Il brigante (1961), derivato dall’omonimo romanzo di Giuseppe Berto, con ambienti e figure che sul versante della commedia erano stati i “luoghi” più visitati del suo cinema, nonché con l’adozione di elementi stilistici e di contenuto caratteristici: “tipi” al posto di attori professionisti, precisa definizione geografica delle vicende, intreccio fra pubblico e privato. Al centro è la storia esemplare di Michele Rende, bandito suo malgrado, secondo le più classiche tradizioni, in lotta con una società che si rivela un mostruoso groviglio di pregiudizi e viltà. Accusato ingiustamente di un delitto non commesso, il suo destino è segnato dal codice di un malinteso senso dell’onore – fino ad una conclusione drammatica, dopo una riuscita evasione dal carcere e la partecipazione ai moti contadini della Calabria del dopoguerra per la rivendicazione delle terre incolte.
Il vasto affresco tracciato da Castellani, sulla scorta del romanzo di Berto, proietta la parabola individuale del protagonista sui fermenti della nuova realtà emersa nel dopoguerra, sicché la sua leadership della rivolta contadina si configura come naturale prosecuzione di una battaglia fin allora privata. Il brigante introduce nella tradizione del neorealismo (tendenzialmente indifferente alle ampie e complesse costruzioni narrative) una struttura ben più articolata, che sottolinea convincentemente il rapporto dialettico che si istituisce fra il personaggio e le tensioni di un periodo attraversato da laceranti contraddizioni.
Se il controllo della materia è innegabile, e se ancora una volta Castellani afferma la sua predilezione per una realtà giovanile contemplata nella sua vitalità incorrotta e innocente, è innegabile pure certo manierismo di alta classe che interviene a spegnere, talvolta, nella compostezza dello stile, il fondo aspro e prepotentemente mosso della materia: ma non al punto che non ne rilevi il desolato quadro di miseria e di dolore che conferisce a molte pagine del Brigante un inconfondibile sapore etico.

Vito Attolini, Dal romanzo al set: cinema italiano dalle origini ad oggi, Edizioni Dedalo, Bari, 1988, pag. 218.

L’occupazione delle terre in una scena del film Il brigante. Foto di proprietà dell’Archivio fotografico del giornale l’Unità di Roma.