venerdì 27 settembre 2013

Van Gogh, il suicidato della società

Vincent Willem Van Gogh
Groot Zundert 1853 – Auvers sur Oise 1890
Pittore olandese


Van Gogh, il suicidato della società

A proposito della buona salute mentale di Van Gogh, che, in tutta la sua vita, non ha fatto altro che cuocersi una sola volta la mano e, per il resto, tagliarsi una volta l’orecchio sinistro.
Van Gogh non è morto per un vero stato di delirio, ma per essere stato fisicamente il campo di un problema intorno al quale, dalle origini, si dibatte lo spirito iniquo di questa umanità. Quello della predominanza della carne sullo spirito, o del corpo sulla carne, o dello spirito sull’uno e sull’altra.
E dov’è in questo delirio il posto dell’io umano.
Van Gogh cercò il suo io durante tutta la vita, con un’energia e una determinazione sorprendente, non si è suicidato in un momento di follia, nell’ansia di non potersi raggiungere, ma al contrario appena raggiunto e appena scoperto quello che era e chi era, la coscienza della società, per punirlo di essersi strappato ad essa, lo suicidò.
Questo è successo con Van Gogh come sempre succede, nell’occasione di una partouse, di una messa, di un’assoluzione, o di tal altro rito di consacrazione, di possessione, di succubazione o di incubazione. S’introdusse quindi nel corpo. Questa società assolta, consacrata santificata e posseduta, cancellò in lui la coscienza sovrannaturale appena conquistata, e, con un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero interno, lo sommerse di un ultimo assalto, e, prendendo il suo posto, lo uccise.
Perché è nella logica anatomica dell’uomo moderno non aver mai potuto vivere, né pensato di vivere, altrimenti che da posseduto.


Antonin Artaud, Van Gogh, le suicidè de la societè (il suicidato della società), La Camera del Sud, Roma 1983.

Mangiatori di patate (1885) – Amsterdam, Museo Van Gogh