Vincent Willem Van Gogh
Groot
Zundert 1853 – Auvers sur Oise 1890
Pittore
olandese
Van Gogh, il suicidato della società
A proposito della buona salute mentale
di Van Gogh, che, in tutta la sua vita, non ha fatto altro che cuocersi una
sola volta la mano e, per il resto, tagliarsi una volta l’orecchio sinistro.
Van Gogh non è morto per un vero stato
di delirio, ma per essere stato fisicamente il campo di un problema intorno al
quale, dalle origini, si dibatte lo spirito iniquo di questa umanità. Quello
della predominanza della carne sullo spirito, o del corpo sulla carne, o dello
spirito sull’uno e sull’altra.
E dov’è in questo delirio il posto
dell’io umano.
Van Gogh cercò il suo io durante tutta
la vita, con un’energia e una determinazione sorprendente, non si è suicidato
in un momento di follia, nell’ansia di non potersi raggiungere, ma al contrario
appena raggiunto e appena scoperto quello che era e chi era, la coscienza della
società, per punirlo di essersi strappato ad essa, lo suicidò.
Questo è successo con Van Gogh come
sempre succede, nell’occasione di una partouse, di una messa, di un’assoluzione,
o di tal altro rito di consacrazione, di possessione, di succubazione o di
incubazione. S’introdusse quindi nel corpo. Questa società assolta, consacrata
santificata e posseduta, cancellò in lui la coscienza sovrannaturale appena
conquistata, e, con un’inondazione di corvi neri nelle fibre del suo albero
interno, lo sommerse di un ultimo assalto, e, prendendo il suo posto, lo
uccise.
Perché è nella logica anatomica
dell’uomo moderno non aver mai potuto vivere, né pensato di vivere, altrimenti
che da posseduto.
Antonin Artaud, Van Gogh, le suicidè de la societè (il suicidato della società), La Camera del Sud, Roma 1983.
Mangiatori di patate (1885) – Amsterdam, Museo Van Gogh
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