domenica 20 maggio 2012

Altro articolo del 1961 che parla del film Il brigante


Scandale 1961 – Sopra, le due attrici Serena Vergano e Anna Filippini passeggiano in via Roma durante una pausa del film “Il Brigante”. La foto è proprietà dell’Archivio del giornale “l’Unità” di Roma. Sotto, l’inizio del film.

Le reazioni della critica di fronte a Il brigante Sono state sostanzialmente concordi nel sottolinearne le gravi diseguaglianze, i compromessi spettacolari, la mancanza di una salda ispirazione unitaria; tuttavia, anche se queste osservazioni sono senz’altro condividibili e l’opera nel suo insieme non può certo considerarsi riuscita, un fondo di perplessità resta in chi si accinge a giudicare l’ultimo film di Castellani, considerandolo sia in se stesso sia nel suo significato rispetto alla parabola percorsa dal regista dopo il 1950. Il lieto mondo giovanile rappresentato nelle commedie che, nel primo dopoguerra, gli dettero prestigio e fama entrò infatti in crisi all’atto stesso della sua più compiuta e coerente espressione: Due soldi di speranza se per un lato affermava con spregiudicato buon umore l’irrinunciabile fede nei valori della giovinezza e dell’amore, per l’altro dava corpo a una fonda, radicale sfiducia nella società, concepita come una gigantesca trappola che le generazioni anziane eternamente rinnovano per imbrigliare e asservire lo spirito di libertà dei giovani. Il mondo appariva insomma come una congiura dei padri ai danni dei figli: ai quali non restava se non proclamare alta la loro ribellione, la volontà di rimanere fedeli alle proprie generose e disinteressate aspirazioni. [...]

Con Il brigante Castellani mostra di essersi accostato a una dimensione del vivere umano che gli era sempre stata profondamente estranea: quella politico-sociale. Questa scoperta gli dà la coraggiosa energia necessaria a indagare con serietà d’intenti e non mentita simpatia le misere condizioni delle desolate plebi meridionali, attraverso una vicenda ricca di drammaticità e, in alcuni tratti, potentemente efficace: pensiamo alle sequenze sull’occupazione delle terre, forse non originalissime ma ricche di calore e colore, e soprattutto alla lunga attesa del ritorno della delegazione contadina, al canto che si leva dalle celle ove i capi del movimento sono stati rinchiusi. Tuttavia, il nuovo motivo ispiratore non è stato in grado di impadronirsi completamente dell’animo del regista e quindi di infondere un unitario pathos all’opera. Cosi, Castellani ha voluto inserire in essa, con funzioni di co-protagonista, l’inutile figura di un ragazzino che devia l’attenzione dal nucleo narrativo essenziale e la cui maturazione psicologica è malamente seguita, su un piano di assoluta prevedibilità; inoltre (cosa ancor più grave e più significativa della scarsa fiducia riposta dal regista nelle autonome possibilità di vita del protagonista) il personaggio principale è stato affiancato da un personaggio femminile che introduce nel racconto la banalità di una sciapa storia d’amore e che con la sua presenza rende più macchinosa e enfatica la deludente soluzione finale. Nell’ultima parte del film, dopo il fallimento dell’occupazione delle terre, sembra quasi che Castellani, spaventato dalla violenta polemica della sua opera, abbia di proposito voluto confondere le carte; e che la cattiva coscienza lo abbia tormentato al punto da farlo ricorrere a una serie di melodrammatici artifici veramente sbalorditivi in un regista della sua natura. [...]

Vittorio Spinazzola, da Cinema Nuovo, 1961