Scandale 1961 – Sopra, le due attrici Serena
Vergano e Anna Filippini passeggiano in via Roma durante una pausa del film “Il
Brigante”. La foto è proprietà dell’Archivio del giornale “l’Unità” di Roma. Sotto,
l’inizio del film.
Le reazioni
della critica di fronte a Il brigante
Sono state sostanzialmente concordi nel sottolinearne le gravi diseguaglianze,
i compromessi spettacolari, la mancanza di una salda ispirazione unitaria;
tuttavia, anche se queste osservazioni sono senz’altro condividibili e l’opera
nel suo insieme non può certo considerarsi riuscita, un fondo di perplessità
resta in chi si accinge a giudicare l’ultimo film di Castellani, considerandolo
sia in se stesso sia nel suo significato rispetto alla parabola percorsa dal
regista dopo il 1950. Il lieto mondo giovanile rappresentato nelle commedie
che, nel primo dopoguerra, gli dettero prestigio e fama entrò infatti in crisi
all’atto stesso della sua più compiuta e coerente espressione: Due soldi di speranza se per un lato
affermava con spregiudicato buon umore l’irrinunciabile fede nei valori della
giovinezza e dell’amore, per l’altro dava corpo a una fonda, radicale sfiducia
nella società, concepita come una gigantesca trappola che le generazioni
anziane eternamente rinnovano per imbrigliare e asservire lo spirito di libertà
dei giovani. Il mondo appariva insomma come una congiura dei padri ai danni dei
figli: ai quali non restava se non proclamare alta la loro ribellione, la
volontà di rimanere fedeli alle proprie generose e disinteressate aspirazioni.
[...]
Con Il
brigante Castellani mostra di essersi accostato a una dimensione del vivere
umano che gli era sempre stata profondamente estranea: quella politico-sociale.
Questa scoperta gli dà la coraggiosa energia necessaria a indagare con serietà
d’intenti e non mentita simpatia le misere condizioni delle desolate plebi
meridionali, attraverso una vicenda ricca di drammaticità e, in alcuni tratti,
potentemente efficace: pensiamo alle sequenze sull’occupazione delle terre,
forse non originalissime ma ricche di calore e colore, e soprattutto alla lunga
attesa del ritorno della delegazione contadina, al canto che si leva dalle
celle ove i capi del movimento sono stati rinchiusi. Tuttavia, il nuovo motivo
ispiratore non è stato in grado di impadronirsi completamente dell’animo del
regista e quindi di infondere un unitario pathos all’opera. Cosi, Castellani ha
voluto inserire in essa, con funzioni di co-protagonista, l’inutile figura di
un ragazzino che devia l’attenzione dal nucleo narrativo essenziale e la cui
maturazione psicologica è malamente seguita, su un piano di assoluta
prevedibilità; inoltre (cosa ancor più grave e più significativa della scarsa
fiducia riposta dal regista nelle autonome possibilità di vita del
protagonista) il personaggio principale è stato affiancato da un personaggio
femminile che introduce nel racconto la banalità di una sciapa storia d’amore e
che con la sua presenza rende più macchinosa e enfatica la deludente soluzione
finale. Nell’ultima parte del film, dopo il fallimento dell’occupazione delle
terre, sembra quasi che Castellani, spaventato dalla violenta polemica della
sua opera, abbia di proposito voluto confondere le carte; e che la cattiva
coscienza lo abbia tormentato al punto da farlo ricorrere a una serie di
melodrammatici artifici veramente sbalorditivi in un regista della sua natura.
[...]
Vittorio Spinazzola, da Cinema Nuovo,
1961