mercoledì 29 agosto 2018

Valorizzare il Centro Storico

Piazza San Francesco a Scandale in un disegno del pittore Nicola Santoro


SULLA VALORIZZAZIONE DEL CENTRO STORICO E SULLA FUNZIONE DELLA PIAZZA

I paesi che hanno perso l'uso e l'abitudine di frequentare la piazza storica, centro urbano primario della tradizione e della vita di ogni borgo, a vantaggio di altri luoghi o non-luoghi, sono paesi destinati alla morte sociale. Certo, una vita economica non è messa in crisi dal ritrovarsi a giocare a briscola al bar degli anziani o in qualche altro bar del paese. Non ne va della stessa esistenza materiale del borgo. E' messa in crisi, però, qualcosa di più importante che, del resto, fa degna l'esistenza tranquilla di un piccolo paese di collina, di mare o di montagna. L'inurbamento selvaggio degli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale ha contribuito, nel migliore dei casi, allo svuotamento dei centri storici, delle sue viuzze popolate da artigiani, contadini e dalla gioventù di ogni età, a vantaggio di nuovi spazi, più ampi e flessibili, dove costruire enormi casermoni spesso mai terminati. Così, scopro che a Scandale, il mio paesino, Via Roma, una delle vie che si allacciano alla Chiesa Madre e la collegano a Piazza San Francesco, oggi abitata da pochi cittadini, era un tempo popolata e frequentata da una moltitudine di persone che di sera ne facevano il ritrovo cittadino, il luogo del passo e spasso, mancando il paese della parte superiore costruita a partire dalla seconda metà del '900 in poi.

Il centro storico, in ragione delle più elementari esigenze della civiltà moderna, così come ogni altro centro storico, ha subito uno spopolamento drastico, cosicché basta farsi un giro alla sera per contare la poca gente che vi passeggia intendendolo come luogo di transito e le molte macchine che vi scendono per poi risalire. La piazza, da luogo di scambio, ma soprattutto di segni e simboli, diventa luogo di passaggio temporaneo. Sarebbe invero il luogo degli incontri, delle chiacchiere tra vecchi e giovani, lo spazio vivo in cui gli uomini dei quartieri si ritrovano per la quotidiana passeggiata interrotta da una bevanda sorseggiata all'ombra di un albero. Si va al caffè, si annuisce, ci si informa e si sfilano notizie. È tutta una serie di passaggi informali reiterati che tesse la vita sociale dei borghi. Come scrive Maurice Aymard, "non si entra al caffè per bere, ma per rivestire il proprio ruolo in una società di uomini". Si va in piazza, dunque, per celebrare il proprio rito di esistenza quotidiana. Si parla con gli altri, li si vede stazionare, li si conosce, si stringono mani, si fanno battute, si discute della vita politica e di ogni altro genere di curiosità e amenità, in quello che diviene e che è indirettamente riconosciuto come il parlatorio collettivo. La piazza storica, con le sue chiese ed i suoi palazzi, è il luogo di massima familiarità cittadina, la madre arcana di ogni borgo: lì, in genere, nascono i paesi, lì è la storia, la vita, l'utero di ogni assembramento urbano storicizzato. Non c'è vita sociale senza la piazza. Non c'è dialogo né crescita.

Ma nel mio paese la piazza principale, quella che accoglie il Palazzo dei Baroni Drammis e la chiesetta di Maria SS. Addolorata, è morta, così come morto è il centro storico, sempre più deserto e spopolato. Muoiono gli anziani, si spengono le case. Nessuno o pochi vi si trasferiscono per ripopolarlo. Non c'è un bar per prendersi un caffè, non c'è un tavolino per sedersi in piazza (poco sopra Piazza De Cardona, antistante la chiesa madre, si offrirebbe bene alla causa), non si passeggia e non vi si staziona. Una decina di anni fa mi rallegravo nel vedere un folto gruppo di anziani che scacciavano la noia pomeridiana sul sagrato della chiesa dell'Addolorata. Di quel gruppo, ne sono rimasti in vita pochi, ormai "spaesati" e sottratti anch'essi all'idea familiare del luogo di casa. E così la piazza è sacrificata all'altare del grande Moloch rappresentato dal Corso Nazionale, un lungo marciapiede (questo, in ogni caso, resta), che accompagna in parallelo la Via Nazionale, la strada provinciale che porta a Crotone, sui cui bordi, nella seconda metà del secolo scorso, è sorto il nuovo paese. Si chiudono attività per aprirle sulla Via Nazionale, si chiudono case per aprirle sulla Via Nazionale, si spostano eventi sulla Via Nazionale. Il grande sacrifico è compiuto. Si uccide un paese per farlo rinascere sulla Via Nazionale.

Approfittando della sindacatura di mio padre, mi feci abbagliare dall'idea, piccola, ma che riscosse una non sottovalutabile risposta, di organizzare, in piazza, una Rassegna del Teatro Dialettale, giunta, l'anno passato, alla terza edizione ed estesasi alla partecipazione di gruppi provenienti da tutta la Calabria. L'idea nasceva con l'obiettivo di riflettere sulle radici del popolo calabrese, perseguitato da un connaturato complesso di inferiorità che lo porta a misconoscere la propria storia, la propria cultura e ad abbandonarsi ad uno stato di perenne rassegnamento dinanzi alle sfide dei tempi. L'emigrazione come medicina per le sue piaghe, lo spopolamento come conseguenza, la morte sociale come risultato. Reagire e sfruttare le ricchezze della nostra terra, a partire dalla scoperta del mosaico di dialetti e culture locali di cui la Calabria è piena: questa era l'idea di fondo. Ma, insieme a ciò, riscoprire il valore affettivo con la piazza. Le serate si svolsero, infatti, nel centro storico. Non era un modo per ripopolarlo, era un modo per apprezzare la bellezza e la suggestione tipica di quei borghi a sussistenza agricola, nati senza troppi obiettivi e pretese. Le serate riscossero notevole successo, con una partecipazione collettiva che contava, in alcune serate, finanche le 250 persone.

Lo dico senza nessuna polemica verso gli attuali amministratori: si pensi a rivalutare la piazza, a renderlo un luogo frequentato, ad abituare i cittadini a farne un luogo vivo. Lo si faccia con la consapevolezza che una serata nel centro storico riuscirà più di una serata in uno spazio indefinito come Piazza Condoleo, luogo anch'esso di transito, giacché distratto dalla passeggiata sul Corso. Si abitui la gente a frequentare il centro storico. La si porti lì attirandola con eventi di richiamo non solo locale. E, soprattutto, si pensi a qualche evento di maggiore interesse culturale, perché questo paese ne ha bisogno.

Articolo di Ippolito Emanuele Pingitore del 18 agosto 2018 su Facebook