sabato 31 ottobre 2015

Che Guevara visto dal filosofo Marcello Veneziani

Marcello Veneziani

IL "CHE", L'ICONA DIVENTATA GADGET

"Perché piace il Che? Perché è bello e figo, direbbero i più superficiali, e l’immagine conta assai nella società dello spettacolo. È difficile che abbia lo stesso successo nelle magliette il volto rattrappito di madre Teresa di Calcutta o il faccino smunto e roditore di Gandhi. Anche se i due con la pace c’entrano di più di Guevara. Ma il Che piace soprattutto perché è rimasto una promessa irrealizzata, la sua vita precocemente stroncata ha avuto la tragica fortuna di restare una rosa non colta. Il mito è bello e la sua coerenza guerriera va rispettata, anche perché ha pagato con la morte. Ma non fa male poi bagnarsi nella realtà per denunciare le omissioni e le ipocrisie dei suoi cantori.
Chi racconterà che il comandante Guevara fu un utopista sconfitto dalla realtà, fu un rivoluzionario rigoroso e spietato, un Saint Just puro e feroce che avrebbe instaurato una dittatura ben più cruenta di quella castrista? Chi rivelerà ai suoi variopinti seguaci in falce e spinello che il Che non tollerava nel suo entourage, come ha testimoniato Regis Debray, “omosessuali, deviati e corrotti” perché egli fu “un sostenitore dell’autoritarismo fino al midollo”? Chi dirà ai suoi aficionados che fu lui a Cuba a far nascere il primo campo di concentramento per “rieducare” gli avversari del regime nella penisola di Guanaha? Chi ripeterà la sua frase terribile e assai poco pacifica che “l’odio efficace fa dell’uomo una violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere”? Chi ricorderà che il Che al governo imitava il fallimentare modello sovietico di una pianificazione ultracentralizzata? Chi racconterà che il Che fu un pessimo ministro dell’Industria e un pasticcione troppo ideologico come governatore della banca nazionale al punto che la sua esperienza di governo finì precocemente e ingloriosamente, cominciò a viaggiare e coltivò uno strisciante dissenso rispetto al governo? Chi ricorderà che Fidel nel suo elogio funebre lo esaltò come combattente ma preferì tacere sulla sua esperienza di ministro e di governatore?
Dissero che il Che andò in Bolivia a cercar la bella morte deluso dalla politica. Perché il Che era ingenuo e sognatore, come l’Idiota di Dostoevskij. Meglio allora sognarlo in guerriglia nella vegetazione sudamericana o in moto ad attraversare da ragazzo la pampa, piuttosto che pensarlo dietro la scrivania di un ministero o di una banca o a mobilitare gli apparati polizieschi di regime. È un sogno romantico che merita un film come lo avrebbero meritato eroi romantici di sponde avverse, da Yukio Mishima a Berto Ricci, magari passando per i più controversi Bombacci, il comandante Borghese e Codreanu. Ma guai a trasferire i sogni romantici nella realtà perché nascono i mostri del fanatismo o i mostriciattoli dell’inconcludenza, dell’incapacità di governare la realtà. Non confondete le icone del mito con la vita quotidiana; non lasciate ai poster l’ardua sentenza”

Marcello Veneziani


Estratto da "Quando l’ingenuo Che fu truffato dal Pci", Il Giornale, 22 marzo 2003