Scandale - Scorcio di Via Roma in un quadro del pittore Alberto Elia |
Voglia di mamma
A Scandale solo pochi anziani ricordano
ancora il caso, lo scandalo del 1950, perché pochi allora riuscirono a saperne
qualcosa di concreto e quei pochi ne parlarono pure a bassa voce. Mai in
precedenza si era verificato il caso di una ragazza madre e, quel che è peggio,
mai ci si sarebbe aspettati che una cosa del genere avvenisse in una delle
migliori famiglie. E invece avvenne, proprio in una famiglia timorata di Dio e
nella quale il rispetto del decoro era considerato un principio sacro ed
inviolabile.
Era successo che nella famiglia
Bontempo la seconda figlia, Ermelinda, destava qualche preoccupazione nei
genitori per la sua estrema vivacità. Il ragioniere Bontempo, segretario capo
nel locale Ufficio Comunale, non poteva sopportare ad esempio che la figlia ritornasse
da scuola ogni giorno da Crotone, avendo tra i piedi Pinuccio, figlio di
contadini. Era pur vero che Pinuccio era molto bravo a scuola, mentre Ermelinda
con il suo carattere da svampita non riusciva altrettanto bene, ricorrendo
quindi spesso all’aiuto del suo amichetto, senza del quale si sentiva perduta:
ma a tutto c’era un limite. I coniugi Bontempo inoltre non sopportavano che,
con la scusa dei compiti, i due ragazzi si chiudessero qualche volta a chiave
nello studio di casa: anche a questo bisognava porre un rimedio.
E siccome quel rimedio non si riusciva a trovarlo ed ogni loro ammonimento
sembrava inutile, i due presero una decisione drastica: Ermelinda avrebbe sì
frequentato il Liceo a Crotone, ma avrebbe abitato dalle suore, con espresso divieto
di incontrare il suo amico. Ma essi non avevano fatto i conti con la forza
degli ormoni, che possono talvolta essere deviati o frastornati, ma che, prima
o poi, inevitabilmente, ritornano quasi sempre a centrare il loro obiettivo.
I due amici, ormai cresciutelli,
avevano certo diradato i loro incontri, ma non avevano alcuna intenzione di
rinunziarvi. Certo non potevano più stare assieme nel pomeriggio a fare i
compiti, certo le suore non consentivano che Ermelinda uscisse da sola, ma le
suore non potevano avere cento occhi e soprattutto non potevano coprire con la
loro vigilanza tutte le ventiquattro ore della giornata. Quando per un motivo o
per l’altro non si faceva scuola, e la cosa non era infrequente, i due si
incontravano e trascorrevano insieme ore meravigliose. Gli esami di maturità,
ormai prossimi, non li distoglievano dai loro incontri e qualcuno ebbe la
felice idea di avvisare il ragioniere
Bontempo. Ma ormai era troppo tardi.
Ermelinda era incinta. All’inizio ebbe
solo qualche sospetto, ma quando si convinse
che il ritardo era ormai da considerarsi eccessivo e che non era
paragonabile a quanto già altre volte le era successo, si risolse a confidarsi
con la madre. La quale ebbe il terrore di rivelare la cosa al marito, sperando
fino all’ultimo che si trattasse di un falso allarme. Ma, quando le analisi
spazzarono via ogni illusione, con la morte nel cuore, gli spiattellò tutto.
Il ragioniere non gridò, non sbraitò e
si prese solo qualche giorno di tempo per riflettere sulla cosa e decidere il
da farsi. Ogni decisione toccava a lui, soltanto a lui che era il capofamiglia:
gli altri avrebbero obbedito come sempre e nessuno nel paese avrebbe capito che
qualcosa di terribile era avvenuto in quella famiglia. Anche Ermelinda, che
pure in altre circostanze si era permessa di muovere obiezioni o di tenere
testa al padre, questa volta non ebbe il coraggio di fiatare: in un pomeriggio
di aprile, mentre tutt’intorno la natura sembrava svegliarsi ai primi tepori
della primavera, lei, rassegnata e impotente, ascoltò la decisione del padre.
Di aborto clandestino non era proprio
il caso di parlare, dal momento che esso era considerato peccato mortale dalla
Santa Madre Chiesa. Ermelinda con una scusa qualsiasi si sarebbe trasferita a
Catanzaro, dove il Bontempo godeva di qualche protezione e di qualche amicizia
importante. Lì avrebbe frequentato il
Liceo, avrebbe sostenuto gli esami e avrebbe portato a termine la gravidanza,
non riconoscendo però il figlio dopo il parto e consentendo che l’assistenza
pubblica si facesse carico del mantenimento in vita di quello che, a tutti gli
effetti, era da considerarsi solo “il frutto del peccato”. Quanto ad un
eventuale matrimonio riparatore, l’ipotesi non fu nemmeno presa in considerazione, dal momento
che la persona in questione, pur intelligente, era notoriamente un morto di
fame, figlio di morti di fame e certamente destinato a restare un morto di
fame.
Ezio Scaramuzzino, Violetta spensierata e altri racconti, Gruppo Editoriale
l’Espresso, 2012, pag. 195.