Largo Genuzzo e Corso Umberto I, in una foto d’epoca conservata da Luigi Aprigliano
JIENDU E CANTANDU
Parlo di voi, gente della mia terra.
Ero un ragazzo quando vi ho lasciato;
avevo il cuore triste e gli occhi in pianto.
Quanti ricordi, a lungo in me sopiti,
ho conservato per non dimenticarvi.
Or che maturo sono e la mia vita
ormai è al tramonto, io tutti li rammento
e li trasmetto.
Ricordo l’erba alta dei prati vasti e verdi
che ondeggiava al vento leggero del mattino.
Ricordo i pastorelli silenti dietro i greggi
che brucavan l’erba umida di rugiada.
Ricordo anche il grano nelle dorate spighe
ricurve sotto i raggi del caldo sol di giugno.
Ricordo i mietitori col loro dorso nudo,
madido di sudore, falciar la bionda messe.
Ricordo là sull’aia girare in tondo i muli
a calpestar pazienti gran fasci di legumi.
Ricordo i contadini con lunghe pale in mano
al vento affidare pulviscoli di pula.
Ricordo i vecchi ulivi dalle argentate foglie
e dai contorti tronchi di molti frutti carichi.
Ricordo vecchie donne, come in preghiera prone,
raccoglier le ulive nei grandi panieri.
Ricordo verdi vigne, dai grappoli maturi,
distese pigre al sole scaldarsi dei suoi raggi.
Ricordo i pigiatori gli acini calpestare
e il mosto che spruzzava purpureo e schiumoso.