Francesco Seminario, Nino Stigliano nel film "IL Brigante" |
Da un’intervista a
Francesco Seminario fatta da Giovanni Scarfò nel 1990. Nel film era Nino
Stigliano, undicenne, amico di Michele Rende
“Avevo 14 anni e la
quinta elementare quando feci il film. Castellani, con Eriprando Visconti e
Armando Nannuzzi, girava in tutti i paesi del circondario per trovare il
protagonista. Un giorno, a Casabona, il banditore passò per tutte le vie del
paese per avvisare che un regista stava facendo dei provini per un film.
Andarono tantissime persone, ma io non ci andai, poiché i miei genitori non mi
portarono.
Un giorno me ne
andavo in giro per il paese mangiando un pezzo di pane e incontrai Castellani
mentre usciva dal Municipio, dove era andato a salutare il sindaco (Iole
Minarchi). Mi sono accorto che questa persona mi guardava in modo fisso, ma io
non sapevo chi fosse. Si avvicinò, ha chiesto come mi chiamavo e cominciò a
farmi delle fotografie. Dopo circa una settimana è ritornato e mi ha sottoposto
a dei provini.
Dopo un mese mi
fecero sapere che mi avevano scelto per la parte e subito venne a Casabona il
segretario di produzione per far firmare il contratto a mio padre, 900.000
lire. Si parlava di sei mesi di riprese, ma ce ne sono voluti 14.
Certo, i miei
genitori all’inizio erano un po’ preoccupati, ma sulla spinta dei soldi e dei
paesani, nell’aprile del 1959 mi fecero andare a Roma e vi rimasi due mesi,
abitando con Castellani. Ogni mattina andavamo a Cinecittà per girare, ma
all’inizio non sapevo neanche della sua esistenza. Il primo giorno l’impatto fu
forte; nei corridoi di una palazzina ho visto uscire due ragazze coperte da un
trasparentissimo velo. Ho detto a Luciano, l’autista della produzione: ‘ma non
si vergognano ad andare in giro vestite in quel modo?’ Luciano si mise a ridere
e mi ha detto che erano delle attrici: quello era stato il mio primo piacevole
impatto con il cinema.
La prima volta che
mi hanno inquadrato con una cinepresa mi sono sentito un po’ sperduto, pensavo
che mi potessero prendere in giro. La prima volta è stato un disastro: non
ricordavo le battute, mi confondevo sempre. Mi hanno aiutato molto i rapporti
con gli altri attori. Serena Vergano era affettuosa, mi voleva molto bene; ma
forse perché nel film era mia sorella.
Ma mi trovavo bene
con tutta la troupe. Castellani aveva ordinato che dovevano spiegarmi qualunque
cosa io chiedevo. In paese erano tutti contenti e molti paesani, utilizzati
come comparse, erano retribuiti nella misura di mille lire al giorno.
Avevo spesso
giornate negative che non ricordavo niente. Eriprando Visconti, l’aiuto
regista, mi suggeriva cosa dovevo fare: tante volte mi faceva dire dei numeri
al posto delle parole, spiegandomi che poi si sarebbe aggiustato tutto al
doppiaggio.
A volte entravamo
nella sala di doppiaggio alle nove di mattina e uscivamo a tarda sera, anche a
mezzanotte; delle volte ero sfinito, dormivo all’impiedi… Per essere sicuro che
avevo recitato bene, guardavo sempre Castellani e quando lo vedevo contento mi
dicevo: “anche questa volta ci ho azzeccato…!”
Durante le riprese
qualche volta non capivo bene come si svolgeva la storia. Castellani mi
spiegava tutto, come mi dovevo comportare scena per scena… era molto bravo,
perché mi faceva entrare subito nel personaggio.
Un giorno a Gambarie
d’Aspromonte mi hanno fatto una sorpresa. Visconti, l’aiuto regista, mi ha dato
un giornale e mi ha detto di sfogliarlo: ad un certo punto ho visto la mia
fotografia e mi sono emozionato: mi hanno fatto telefonare a casa e ho
raccontato della fotografia del giornale ai miei genitori.
Naturalmente i miei
genitori erano contenti, ma non sono mai venuti a vedermi sul set. Durante i
mesi delle riprese in Calabria abitavo in albergo a Crotone, con tutta la troupe,
ed ero controllatissimo: dovevo dire sempre dove andavo e con chi. Comunque,
andavo sempre in giro con qualcuno della troupe, e Castellani mi chiedeva
sempre se avevo soldi e, quasi ogni domenica, mi dava diecimila lire come
regalo.
Finito il doppiaggio,
Castellani mi propose di continuare la scuola in un collegio a Roma. Avrebbe
pagato tutto lui, senza nessun problema. All’inizio, nel 1961, ho accettato e
ci sono andato volentieri. Era un collegio lussuosissimo, frequentato da gente
perbene: la retta era di 50.000 lire al mese. Però, dopo pochi giorni ho
chiesto di andare via, perché c’erano delle regole troppo severe. Castellani ha
cercato di convincermi di restare, ma io ero ormai deciso ad andarmene per far
ritorno al mio paese”.