mercoledì 8 febbraio 2017

Pier Paolo Pasolini - Una voce fuori dal coro

Pier Paolo Pasolini con Ninetto Davoli

Pier Paolo Pasolini, una voce fuori dal coro

Chi fu davvero Pier Paolo Pasolini? La sua multiforme opera rende assai difficile definirlo: fu poeta, romanziere, saggista, critico, regista cinematografico, drammaturgo, finanche disegnatore ed autore di canzoni. Attraverso un dichiarato protagonismo egli è stato testimone del suo tempo: si mostrò sempre diffidente nei confronti della televisione, che considerava un mezzo antidemocratico, in quanto “il parlare da un video è sempre un parlare ex cathedra”. Si oppose alla legalizzazione dell'aborto, che considerava una forma di omicidio a tutti gli effetti, e promosse la difesa dei “diversi”, cioè degli umili, analfabeti, persone di colore, omosessuali, emarginati, oppressi... Pasolini ha quindi incarnato più di ogni altro il ruolo di coscienza critica dell'Italia degli anni Sessanta, fino alla tragica morte violenta avvenuta tra il primo ed il due novembre 1975 in un campo incolto tra le baracche dell'Idroscalo di Ostia.
Quella notte venne fermato a bordo dell'Alfa dello scrittore il diciassettenne “ragazzo di vita” Pino Pelosi, che confessò l'omicidio, sostenendo di essere stato minacciato con un bastone del quale si impadronì per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito, ma ancora vivo. Quindi salì a bordo dell'auto dello scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la cassa toracica e provocandone la morte. Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e nel 1976 la sentenza della Corte d'Appello confermò la condanna dell'unico imputato, escludendo ogni riferimento al concorso di altre persone nell’omicidio. In realtà è stato dimostrato che Pelosi non era solo.

La morte dello scrittore ha scatenato un vortice di ipotesi, illazioni, sospetti, come se si trattasse di un romanzo criminale. Pasolini venne ucciso su commissione da Cefis, attraverso servizi deviati, perché aveva indagato sulle sue responsabilità nell'uccisione di Enrico Mattei? Oppure gli ambienti di estrema destra volevano punirlo, coinvolgendo anche la banda della Magliana, perché era comunista ed omosessuale? O il padre potente di un ragazzo con cui Pasolini si era appartato precedentemente voleva fargliela pagare con un pestaggio finito male? Verosimile sembra essere anche la tesi secondo la quale l'intellettuale era divenuto un personaggio scomodo dopo aver pubblicato su “Il Corriere della sera” l'articolo “Io so” (1974), in cui dichiarava di conoscere i responsabili delle stragi di Milano, di Brescia, di Bologna... Si arriverà a conoscere la verità o, forse, già si sa?
Nel luogo dove Pasolini perse la vita, il suo amico scultore Mario Rosati ha realizzato una stele commemorativa, all'interno del Parco letterario aperto recentemente all'interno del Centro Habitat Mediterraneo LIPU, ad una ventina di chilometri dalla sua amata Roma, dove si trasferì nel 1950 con l'adorata madre.
Dopo aver trascorso l'infanzia in varie cittadine tra Veneto, Lombardia ed Emilia al seguito del padre, ufficiale dell'esercito, compì gli studi liceali ed universitari (si laureò in Lettere) a Bologna, dove era nato nel 1922. La guerra lo costrinse a rifugiarsi nel paese natale della madre, Casarsa (Pordenone), al quale dedicò la sua prima raccolta di versi, scritti in italiano e friulano. Nel 1949, accusato di corruzione di minorenni, venne sospeso dall'insegnamento in una scuola media ed espulso dal partito comunista per “indegnità morale”. Fu il primo di circa trenta processi che lo videro imputato nel corso della sua travagliata esistenza, a volte con accuse paradossali e grottesche.
Dunque, quando, a ventotto anni, Pasolini vi si trasferì, Roma gli si presentò come una sorta di refugium peccatorum, dove inizialmente visse vicino al Portico d'Ottavia in uno stato di estrema indigenza, lavorando come generico a Cinecittà e correttore di bozze. Guidato dal diciottenne Sergio Citti, con il quale in seguito avrebbe stretto un sodalizio artistico, entrò in contatto con il dialetto romano ed il mondo delle borgate, location dei romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, oltre che di alcuni dei suoi film, quali “Accattone” e “Mamma Roma”. Al tempo stesso si avvicinò al mondo culturale capitolino, rappresentato dalla Morante, Caproni, Bassani, Gadda, Moravia e da Sandro Penna.

Pasolini cominciò così ad apprezzare la Città Eterna, che sembrava accettarlo incondizionatamente: fino a quel momento egli aveva vissuto la propria omosessualità come “un peccato”, “un nemico” che non gli permetteva di essere “sereno, equilibrato, naturale”, mentre a Roma sembrava aver trovato la sua dimensione ideale.
Il ricordo dei due anni trascorsi nel quartiere di Rebibbia (dove in piazza Ferriani è stata dedicata una targa commemorativa) rimarrà vivido anche quando si trasferirà nel quartiere di Monteverde, in via Fonteiana, vicino alle case popolari costruite durante il Fascismo, “i grattacieli”, cui si accede dal cosiddetto Ponte bianco, con leoni e fasci littori scalpellati. Pasolini trascorse gli ultimi di anni all'EUR, in un edificio residenziale in via Eufrate.
A buon diritto, quindi, questo discusso Pier Paolo Pasolini può essere considerato “un'anima di Roma”: questa città è stata il teatro della sua vita adulta, il palcoscenico ideale nel quale ha indagato la natura dell'uomo e di se stesso in persona, sempre presentandosi come una voce fuori dal coro, spesso demonizzata perché non compresa appieno.

Articolo di Claudia Coarelli del 5 Dicembre 2015 su Roma today