domenica 29 settembre 2019

Quando si parlava del film “IL Brigante”

Scandale  1960 - I due Carabinieri del film sono Salvatore Cacozza e Amedeo Cizza



Gian Luigi Rondi parla del film “IL Brigante”

Su “Il Tempo” del 31 agosto 1961, Gian Luigi Rondi parla di “personaggi approssimativi e confusi” e di “errori di gusto e di stile” ma apprezza “quelle pagine corali in cui il regista ha profuso tensione drammatica e rigore realistico”, insomma, “uno stile in cui il gusto dell’immagine preziosa sapientemente si fonde al rispetto per il dato reale e ad un ritmo che riesce quasi sempre a mantenersi agile e sciolto”. [...] “Autore composito, ricco di ispirazioni letterarie e nello stesso tempo attento all'osservazione della vita di tutti i giorni, Renato Castellani si impose trionfalmente nel cinema italiano con Due soldi di speranza (1952) in cui, rinverdendo i temi drammatici del neorealismo con uno spirito umoristico che partecipava a volte del nostro antico Novellino, a volte del Basile del Cunto delli Cunti, approdava a risultati di vivacissima freschezza in un'atmosfera quasi di canto, schietta, autentica, calda. La stessa vicenda (l'amore contrastato di due giovani, soffocati da una rissosa atmosfera di faida paesana) veniva ripresa più tardi da Castellani con un’opera di grandi ambizioni culturali, Romeo e Giulietta che, a detta dello stesso autore, voleva essere un Due soldi di speranza in chiave scespiriana e, nello stesso tempo, la riscoperta non solo delle fonti italiane di Shakespeare, ma anche delle sue segrete inclinazioni classiche”.

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La recensione su Il brigante di luca826 (Tv 6 Novembre 2010)

Questo film è stato girato interamente dal vero - Compare questa didascalia nei titoli iniziali e non può che essere la migliore presentazione per questo dramma di iniziazione a sfondo sociale. Iniziazione non solo di un ragazzino, ma di un popolo, attraverso la storia di Michele, simbolicamente "sballottato" nei ruoli di criminale e salvatore. Castellani (protagonista del neorealismo-rosa) adatta il romanzo di Giuseppe Berto (che non conosco) e utilizza il punto di vista del piccolo calabrese; è lui il motore del racconto, tranne nel finale (scelta pericolosa cambiare il tipo di narrazione) privilegiando in questo modo la traccia tragica contenuta nel soggetto. Ma il controllo della vicenda rimane nelle salde mani del regista, delineando un lucido affresco di una certa Italia (e non solo...) degli anni 40, durante e post-guerra, di indubbio valore e fascino attraverso toni a volte epici, rendendo l'opera ancora più affascinante, immersa in un maestoso paesaggio, ottimamente fotografato in un suggestivo bianco e nero. La regia dinamica di Castellani, impreziosita da intelligenti movimenti di macchina, è capace di gestire gli spazi perfettamente, vedere per credere la fuga finale nel bosco, con dei primi piani sostenuti in movimento, sia emotivamente che tecnicamente da antologia. "Bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla" è la solita amara conclusione italiana alle naturali spinte di libertà portate dalla Storia. Sarà anche accademico e manierato (Morandini) ma che film! Da riscoprire.