Marcello Veneziani |
IL "CHE", L'ICONA DIVENTATA GADGET
"Perché
piace il Che? Perché è bello e figo, direbbero i più superficiali, e l’immagine
conta assai nella società dello spettacolo. È difficile che abbia lo stesso
successo nelle magliette il volto rattrappito di madre Teresa di Calcutta o il
faccino smunto e roditore di Gandhi. Anche se i due con la pace c’entrano di
più di Guevara. Ma il Che piace soprattutto perché è rimasto una promessa
irrealizzata, la sua vita precocemente stroncata ha avuto la tragica fortuna di
restare una rosa non colta. Il mito è bello e la sua coerenza guerriera va
rispettata, anche perché ha pagato con la morte. Ma non fa male poi bagnarsi
nella realtà per denunciare le omissioni e le ipocrisie dei suoi cantori.
Chi
racconterà che il comandante Guevara fu un utopista sconfitto dalla realtà, fu
un rivoluzionario rigoroso e spietato, un Saint Just puro e feroce che avrebbe
instaurato una dittatura ben più cruenta di quella castrista? Chi rivelerà ai
suoi variopinti seguaci in falce e spinello che il Che non tollerava nel suo
entourage, come ha testimoniato Regis Debray, “omosessuali, deviati e corrotti”
perché egli fu “un sostenitore dell’autoritarismo fino al midollo”? Chi dirà ai
suoi aficionados che fu lui a Cuba a far nascere il primo campo di
concentramento per “rieducare” gli avversari del regime nella penisola di
Guanaha? Chi ripeterà la sua frase terribile e assai poco pacifica che “l’odio
efficace fa dell’uomo una violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere”?
Chi ricorderà che il Che al governo imitava il fallimentare modello sovietico
di una pianificazione ultracentralizzata? Chi racconterà che il Che fu un
pessimo ministro dell’Industria e un pasticcione troppo ideologico come
governatore della banca nazionale al punto che la sua esperienza di governo
finì precocemente e ingloriosamente, cominciò a viaggiare e coltivò uno
strisciante dissenso rispetto al governo? Chi ricorderà che Fidel nel suo
elogio funebre lo esaltò come combattente ma preferì tacere sulla sua
esperienza di ministro e di governatore?
Dissero
che il Che andò in Bolivia a cercar la bella morte deluso dalla politica.
Perché il Che era ingenuo e sognatore, come l’Idiota di Dostoevskij. Meglio
allora sognarlo in guerriglia nella vegetazione sudamericana o in moto ad
attraversare da ragazzo la pampa, piuttosto che pensarlo dietro la scrivania di
un ministero o di una banca o a mobilitare gli apparati polizieschi di regime.
È un sogno romantico che merita un film come lo avrebbero meritato eroi
romantici di sponde avverse, da Yukio Mishima a Berto Ricci, magari passando
per i più controversi Bombacci, il comandante Borghese e Codreanu. Ma guai a
trasferire i sogni romantici nella realtà perché nascono i mostri del fanatismo
o i mostriciattoli dell’inconcludenza, dell’incapacità di governare la realtà.
Non confondete le icone del mito con la vita quotidiana; non lasciate ai poster
l’ardua sentenza”
Marcello Veneziani
Estratto da "Quando
l’ingenuo Che fu truffato dal Pci", Il Giornale, 22 marzo 2003