Polvere di stelle
Serena Vergano |
L’attesa era spasmodica e ai primi di
Giugno arrivarono i camion con le attrezzature, arrivarono i tecnici e
soprattutto arrivò il regista del quale tanto si parlava, il famoso Renato
Castellani, e poi gli attori protagonisti, Adelmo Di Fraia e Serena Vergano,
due giovani promesse di cui si raccontavano mirabilia. Di Castellani già allora
si diceva che fosse omosessuale, cosa non infrequente nel mondo del cinema, e
qualcuno dava per sicuro che il giovane attore protagonista fosse il suo amante
segreto, il che solleticava ulteriormente la curiosità della gente. Aiuto
regista era un giovane con i baffetti, che calzava sempre degli stivali, con
qualunque tempo, un certo Eriprando Visconti, del tutto sconosciuto, ma che ai
più informati evocava il nome del grande Luchino Visconti, del quale in effetti
il giovane era nipote, come si venne a sapere subito.
In una
piazza fu allestito il set e la vita del piccolo paese fu sconvolta: c’era da
passare il tempo e inoltre, cosa che non guastava, c’era da guadagnare qualche
soldino, che avrebbe fatto comodo alle nostre tasche in perenne crisi di
astinenza. La produzione, a quel che si diceva, pagava bene e molti venivano
sottoposti a provini per qualche particina secondaria o, in alternativa, per le
scene di massa, che si preannunziavano spettacolari e numerose.
L’anno
scolastico intanto era giunto al termine ed anche io mi preparavo a lasciarmi
coinvolgere da quell’avventura. L’incipiente consumismo non costringeva ancora
la gente a partire per le vacanze e, se qualcuno aveva voglia di un po’ di
mare, si limitava a scendere a Crotone per mezza giornata e a sistemare un
ombrellone su un tratto di spiaggia libera. Il film si preannunziava come un
interessante ed elettrizzante diversivo in un’estate che non sarebbe quindi
trascorsa come tutte le altre che l’avevano preceduta.
Per la prima volta nella mia vita potei
vedere come si girava un film, conoscere i trucchi del cinema ed assistere dal
vivo alle riprese di quelle scene che fino ad allora avevo potuto guardare solo
nel chiuso e nel buio di una sala cinematografica. Al mattino, verso le otto,
ero già pronto a sistemarmi in una posizione comoda per assistere alle riprese.
Conobbi le macchine della pioggia e le macchine del vento, con il lancio di
terra davanti alle loro enormi pale per simulare la polvere delle strade.
Conobbi il trucco di sistemare dei mortaretti in una traccia sotto terra per
simulare i colpi dei mitra e delle pistole. Conobbi l’uso della salsa di
pomodoro che simulava il sangue dei morti e dei feriti. Vidi, con mia grande
meraviglia, che alcuni attori, quando dovevano dire qualcosa, si limitavano ad
elencare dei numeri senza senso, perché il sonoro sarebbe poi stato montato a
parte nel chiuso degli studi cinematografici. Assistetti alla ripresa di scene
di massa, in cui i contadini del luogo si muovevano seguendo gli ordini
impartiti dal regista attraverso un megafono.
Assistetti incantato alle riprese di
alcune scene in cui recitava la giovane attrice protagonista, che interpretava
il ruolo della donna del brigante, destinata a morire tragicamente nello
scontro a fuoco finale con i carabinieri. Quella giovane attrice a me sembrava
particolarmente brava e bella e per qualche tempo essa alimentò i miei sogni di
adolescente. Immaginai di poter recitare anche io e per qualche tempo sperai
che la fortuna, o il caso, mi consentisse di dire almeno qualche battuta
davanti alla macchina da presa accanto a lei.
Decisi di
sottopormi a dei provini, ma fui inesorabilmente scartato, con mio grande
rammarico.
Miglior
fortuna riusciva ad avere nel frattempo il sarto Giovanni Parrilla, mio amico
anche se alquanto più grande di me, che aveva avuto qualche esperienza di
lavoro nella sartoria del Teatro alla Scala di Milano e che già da qualche
tempo, per motivi di salute, era ritornato al paese, dove aveva aperto una sua
bottega artigiana. Nei primi giorni di lavorazione si era offerto di
collaborare con le maestranze e, richiesto di qualche ritocco ai costumi di
scena, aveva saputo farsi apprezzare, tanto che il regista a un certo punto gli
chiese di creare un intero costume da contadina, da far indossare alla
protagonista nell’ultima e drammatica scena del film.
Un giorno
Giovanni mi informò, quasi senza riuscire a contenersi per la gioia, che
l’indomani Serena Vergano sarebbe venuta nella sua bottega per delle prove e
per le misure del costume che lui avrebbe dovuto creare. Lo pregai, lo implorai
quasi di farmi partecipare all’evento in qualche modo e lui, in nome della
vecchia amicizia, mi assunse seduta stante come semplice aiutante, fornendomi
le necessarie ed indispensabili istruzioni.
Il giorno dopo la Vergano , accompagnata da
Renato Castellani, verso mezzogiorno
faceva il suo ingresso nella bottega artigiana del mio amico. L’attrice, che
era una ragazza piuttosto semplice e con atteggiamenti tutt’altro che da diva,
non si perse in preamboli e, seguendo le istruzioni del regista, si spogliò
subito, rimanendo in sottoveste.
Io avevo l’incarico di avvolgerle le
spalle con degli scampoli di velluto, fino alla scelta di quello definitivo,
che, su indicazione del sarto, il quale osservava un po’ discosto, avrei dovuto
richiudere con una spilla da balia.
Ero emozionato
ed un po’ incerto nei movimenti, ma riuscii a nascondere il mio segreto
turbamento. Quando sarto e regista concordarono nella scelta della stoffa ed io
fui invitato a bloccarla con la spilla, la Vergano , forse per una sua disattenzione, forse
per consentire una migliore aderenza della stoffa sulle sue spalle nude, con un
gesto improvviso lasciò cadere la sottoveste, che prima sembrò impigliarsi
nelle dita della sua mano e poi, scivolando dolcemente lungo i fianchi, andò a
posarsi ai suoi piedi, afflosciandosi inerte.
Risollevai
lo sguardo, che aveva seguito le evoluzioni della sottoveste, e vidi il petto
della ragazza, candidissimo, completamente nudo.
Dovevo
richiudere la stoffa con la spilla, ma probabilmente mi misi ad armeggiare con
imperizia ed in maniera disarticolata e convulsa. Si sentì solo un grido
acutissimo e subito dopo si vide la
Vergano coprirsi il seno con una mano, mentre alcune gocce di
sangue gocciolavano tra le sue dita.
Mentre
Castellani imprecava contro di me, lanciandomi una pedata che mi colpì di
striscio, qualcuno provvide a portare di corsa l’attrice dal medico Mauro, che
la curò, iniettandole un’antitetanica, disinfettando la ferita e applicandovi
una garza e un cerotto.
Qualche giorno dopo si stava girando
una scena di massa sotto una pioggia artificiale. C’era molta confusione sul
set e Castellani impartiva ordini, gridando in un megafono con la sua vocetta
stridula, come fosse spiritato. Mi avvicinai a lui, approfittando della
confusione, e mi fermai alle sue spalle. Studiai le sue mosse e, come mi
accorsi che stava prendendo la rincorsa per precipitarsi chissà dove, infilai
il mio piedino destro in mezzo ai suoi.
Il famoso regista, che era un ometto
basso e magro, fece dapprima una capriola su se stesso, riuscendo quasi miracolosamente
a rimanere in piedi, ma poi perse definitivamente l’equilibrio, navigò
scivolando per un paio di metri in un mare di fango e cadde bocconi, lungo
disteso sulla strada.
Chi lo soccorse e lo stesso Castellani,
quasi irriconoscibile per il fango limaccioso che gli ricopriva il volto, erano
convinti che la caduta fosse da addebitarsi alla concitazione del momento. Io
intanto, sgattaiolando tra la gente, riuscivo ad allontanarmi. Mi ero vendicato
della mancata assunzione come figurante e, soprattutto, cosa che mi bruciava
particolarmente, mi ero vendicato della pedata di qualche giorno prima. Eravamo
pari, finalmente, anzi, forse, potevo anche mettere in conto un piccolo, ma
significativo vantaggio su di lui.
Articolo del prof. Ezio Scaramuzzino, pubblicato
dal sito UNLA di Scandale domenica 9 settembre 2012 .
Foto del film Il Brigante |