domenica 19 settembre 2010

Suor Enrichetta Banfi a Corazzo

Il busto di Suor Enrichetta Banfi nella piazza di Corazzo, in una foto di Cesare Grisi.


“Da Milano, la famiglia religiosa delle Orsoline invio a Corazzo Suor Enrichetta Banfi. Una donna straordinaria sul vero senso della parola. Una donna dal sorriso illuminante che scaturiva da una santità interiore e da un’umiltà profonda, capace di confondere e disarmare chiunque: il burocrate e il prepotente, il malandrino e il “cafone”, il politico e il politicante.

Arrivò a Corazzo, terra di missione, lei “lumbarda” tra i contadini del Sud. Rimase colpita dal silenzio di un paesaggio spoglio interrotto di tanto in tanto dalle gips dell’Opera Sila che nel villaggio avevano installato un centro operativo.

Un deserto senza anima viva. Le case abitate erano sparse e lontane. Il villaggio si popolava di sera, un’ora, due ore, vicino al bar.

Avviò l’asilo e incontrò tutti i bambini dei poderi vicini. Li strinse al petto uno per uno con l’amore della sua totale donazione per i poveri, gli oppressi, i deboli. La sua fede scoprì il Cristo morto e risorto nei corpi macilenti di quelle creature. [...] Suor Enrichetta non fece cose strabilianti, non compì atti eroici, non fece miracoli, divenne la madre premurosa dell’intero villaggio. Chi ha avuto la fortuna di incontrarla si è sentito folgorato nel proprio intimo. Sapeva parlare al cuore, sapeva scrutare i sentimenti, leggere il travaglio dell’anima, assicurare il sereno a quanti si avvicinavano a lei turbati dall’affanno del disordine interiore. [...]

Si portava da casa in casa incontrando le famiglie contadine, lei figlia di un contadino di Pregnana milanese, morto giovane in guerra. Ascoltava e imparava a capire il linguaggio di un dialetto astruso, il lamento rassegnato di donne riservate e contegnose. Comprese il bisogno materiale e culturale della nostra gente. Se ne fece carico perché ogni famiglia apparteneva alla sua vita. Scrisse alle sue consorelle della casa madre di Milano per costruire un ponte di solidarietà. Milano è la capitale della ricchezza, Corazzo è un angolo di terzo mondo. Il contadino, è vero, ha la casa e la terra. Semina e poi attende il raccolto. Ma tutto dipende se “u tempu prumitta”, cioè se non ci saranno siccità o “gelu”, “tramuntani sicche” o piogge torrenziali.. E durante l’attesa cosa mangia, come si veste, come affronta i quotidiani problemi della vita?

Suor Enrichetta si fece interprete di questa situazione. Scattata la molla della solidarietà, arrivarono gli aiuti. Medicinali e indumenti vennero distribuiti con estrema riservatezza, con grande calore umano. [...]

Maestra, infermiera, madre instancabile per ventisei anni. Una mattina se ne andò all’improvviso. Era il 20 marzo del 1976. Stava impartendo una lezione a due ragazzi del villaggio. A un tratto si sentì male.

“Suor Enrichetta, vi sentite male, andate a riposare”, disse Renato Grande, uno dei ragazzi.

E lei: “no, resto con voi sempre, perché vi voglio bene” e morì così sul campo di lavoro. Si fermò il battito di un cuore che aveva amato tanto la sua gente, i suoi contadini del sud.

I contadini accorsi, da tutte le contrade, fecero corona intorno alla sua bara. La piansero in silenzio. Il pianto solcò le rughe di volti rudi, di pietra. Un dolore tenero, profondo e nascosto. Il pianto del contadino del sud”.


Iginio Carvelli, Rughe di pietra, Piccole storie di un paese calabrese (Scandale), Rubbettino Editore, 1995, p. 73.