Le voci del silenzio: Luigi Paparo
Il bancone del Bar Centrale, lì, in
piazza Oberdan, era il mio posto di comando. Da quel posto vedevo scorrere la
gente davanti ai miei occhi e non giudicavo. Mi limitavo a leggere il bene e il
male, il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto nel grande libro della vita
che si apriva davanti a me.
Nel mio bar non si giocava soltanto a
carte. Spesso si parlava di sport, di cinema, di storia, di arte e tante volte
io mi accostavo a voi giovani studenti, che in quel mio piccolo mondo, nei
pomeriggi assolati d’estate o nelle fredde serate invernali, davate vita allo
spettacolo meraviglioso della cultura che diventa ragione di vita. Ed io mi
sentivo orgoglioso di quella piccola, grande accademia che nasceva e si sviluppava proprio nel mio mondo, nel
Bar Centrale, in piazza Oberdan.
In quei pomeriggi d’estate, in quelle
serate invernali, percepivo allora confusamente il senso e il sentimento
dell’infinito. Adesso tutto mi è chiaro e mi è chiaro anche il dolore, lo
strazio della vita. Mi è chiaro perché a soli cinquanta anni ho dovuto lasciare
la luce del giorno e la mia famiglia.
Le voci del silenzio: Pierino Artese
Ti ho visto arrivare, come ne vedo
tanti in questi giorni. Quando ti ho visto svoltare sul viottolo, ho sperato
che tu venissi verso di me: lo hai fatto e mi fa piacere. Nel silenzio eterno
che mi avvolge, un briciolo della vita che ho vissuto è il balsamo che
rischiara le tenebre e si confonde con la luce che mi attende.
Eravamo felici in quei giorni, insieme
a tanti altri, e forse non lo sapevamo. Abbiamo trascorso tante serate
appoggiati sui tubi che da viale Puccini portavano verso la villetta. Parlavamo
di tante cose, di tutto e di niente. Della Juve, dei tempi che cambiavano, dei
soldi che non bastavano mai. Una sera d’estate, tanto per fare qualcosa di
diverso, improvvisammo una piccola maratona e dalla villetta ci dirigemmo a
passo di corsa verso il vicino paese di San Mauro. Era una corsa, ma forse era
più giusto considerarla una danza. Una danza in cui si respirava il profumo
dell’amicizia che non muore mai e dell’affetto che sfida il tempo. Non
chiedevamo molto alla vita. Ora tutto è silenzio.
Le voci del silenzio: Maria Galasso
Era da tanto che non ti vedevo: ti
ricordo bambino e ti ho visto crescere. Poi, un giorno, non ti ho visto più:
sei partito ed hai abbandonato la via che ci ha visti insieme procedere nella
vita. In quella via c’era la mia famiglia, la tua, i Garieri, i De Biase, i
Coriale, i Lazzaro, gli Scalise, tanti altri: via Puccini, anzi viale Puccini,
come la chiamavano, perché c’erano gli alberi, che oggi non ci sono più. Sotto
quegli alberi ci sedevamo a respirare la brezza leggera dell’estate e ad
attendere l’arrivo delle prime ombre della sera. Era bello allora: si parlava,
si chiacchierava, le mamme tenevano a bada i figli e tutt’intorno il canto
assordante delle cicale faceva da sfondo all’incanto del nostro vivere. Ora
anche quelle cicale non ci sono più e si ha altro da fare che ascoltare il loro
canto.
Io ho vissuto, ho amato, ho avuto una
famiglia, ho gioito, ho sofferto, poi mi sono addormentata, con serenità, in
pace. Ad altri oggi è sortito il passare per la terra e l’abitare questi luoghi
che ci sono stati cari. Ma sento di insofferenze, di scontentezze, di rabbie, di
fretta di vivere e di frenesia nel consumare i propri anni. Perché? Perché?