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Foto scattata a Scandale in
via Roma nel novembre del 1954. Da sinistra a destra: il prof. Manlio
Rossi-Doria; l’assistente Lucia Trucco, detta Mimma; l’ingegnere Alberto
Marsella e il prof. Alberto Antonio Marselli. La casa sulla sinistra, all’epoca
era di Mastro Quintino e la casa in fondo con finestra era di Francesco Abiuso,
che era un po’ la guida e il suggeritore del Professore in paese.
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Di
seguito, alcuni passi di un lungo articolo del prof. Gilberto Antonio Marselli,
adesso in pensione, ma per tanti anni docente della Facoltà di Sociologia
all’Università di Napoli, dove racconta qualche aneddoto della sua permanenza a
Scandale, in via Roma, nella casa della vedova Scaramuzzino. In questa casa
alloggiava anche il prof. Rossi-Doria con le collaboratrici.
Una significativa esperienza
Gilberto Antonio Marselli
Per
quanto riguarda la ricerca oggetto di questa pubblicazione, varrà la pena
sottolineare innanzi tutto la composizione della équipe voluta da Rossi-Doria
che, se vogliamo, aveva poco di rigorosamente scientifico, ma aveva molto dello
spirito che lui aveva avuto la capacità di creare intorno a sé, nell’Osservatorio di Economia agraria per la
Campania, Calabria e Molise presso l’Istituto di Economia e politica
agraria della facoltà di Agraria dell’Università di Napoli, con sede a Portici.
Oltre alla moglie (Anne Lengyel Rossi-Doria) anche la signorina Lucia (Mimma)
Trucco, italo-francese, giunta a Portici, in quanto era nipote del professore
Umberto Facca, perché interessata ai problemi del Mezzogiorno e la signorina
Mary Lou Carmer, una studentessa americana che godeva di una delle borse
Fullbright per fare le ricerche per conseguire il PhD in Antropologia
culturale. A questo gruppo fui chiamato anche io in quanto, nel 1949, avevo
curato i rilevamenti per la carta dell’utilizzazione del suolo nel comprensorio
silano […].
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Alla
descrizione fatta da Rossi-Doria dell’alloggio della vedova Scaramuzzino da noi
occupato, vanno aggiunte alcune annotazioni che potranno meglio far comprendere
l’ambientazione in cui ci saremmo mossi. Le nostre due camere erano leggermente
sollevate dal piano strada e vi si accedeva a mezzo di una breve rampa di scale
che partiva da un angusto androne: nel vano scala si affacciava la cucina dei
locali del piano superiore al nostro, dalla cui finestrella spesso si affacciava
la figlia della padrona di casa. Sul nostro pianerottolo e prima della porta di
ingresso, vi era lo sportello di chiusura del piccolo vano in cui vi era
l’imbocco del tubo fecale (infatti, in assenza di un regolare gabinetto, ci si
doveva servire del cosiddetto “gettatoio esterno”, frequentissimo nelle case
contadine del paese).
Un
giorno, approfittando di una trasferta a Catanzaro del Professore e della
signora Anne per la rilevazione di alcuni dati (ma, credo, per il legittimo
bisogno di un minimo di maggiori comodità), mi detti da fare, con l’aiuto di un
muratore, per migliorare questo assetto, applicando al tubo fecale un normale
w.c., ampliando leggermente il vano e coprendone l’apertura con il telone della
mia auto. L’ardita innovazione fu da tutti approvata incondizionatamente e al
loro rientro brindammo con del prelibato vino di Cirò rosso, che fu
particolarmente gradito da Mary Lou.
Per
il resto, non apportammo altre modifiche al nostro alloggio e nemmeno al suo
arredamento. Mi accorgo solo ora di non ricordare di essere mai entrato nella
seconda Camera (quelle delle signore) e, quindi, di essermi occupato della
manutenzione e pulizia solo della nostra: la più ampia e anche la più
frequentata, sia dal nostro gruppo e sia, ancor più, dai numerosi visitatori,
che aumentavano ogni giorno.
Mentre
le signore mi sembra disponessero di un solo grande letto matrimoniale, noi
avevamo due scomode poltrone letto, che venivano montate all’ultimo momento,
prima di andare a letto. Quando avevamo la visita di Rocco Mazzarone, mi
trasferivo sulla cassapanca del grano con un materasso riempito di spoglie di
mais: poiché era più alta dei letti, vi si dominava tutta la camera e ciò era
particolarmente importante durante il rito mattutino. Infatti, alla sveglia, il
professore (che, come tutti coloro a ciclo notturno, era a lento risveglio,
come del resto sono anche io) era solito raccontarci il suo sogno e anticiparci
le possibili alternative per gli incontri di lavoro. Ho sempre avuta la vaga
sensazione (forse, sarei più onesto a dire la ferma convinzione) che quei sogni
fossero sempre ed esclusivamente delle costruzioni immaginarie , che, però,
avevano il pregio di creare in tutti noi una piacevole atmosfera, spogliata di
alcune ufficialità o formalità. una caratteristica, questa, che era ed è sempre
stata la nota dominante dei rapporti che don
Manlio riusciva a stabilire con tutti e, in particolare, con i collaboratori:
dote anche allora difficilmente riscontrabile a tal livello nei gruppi
universitari di ricerca e oggi, purtroppo, credo del tutto assente o quasi
essendo ben altri i rapporti vigenti in essi.
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Delle
auto da noleggio, che accompagnavano gli scandalesi a trascorrere le serate libere
nella vicina cittadina di Crotone, una era di proprietà, appunto, di don
Renato. Quasi a voler saggiare le nostre reazioni, ci fu detto che queste gite
serali (e, spesso, ogni auto doveva effettuare più corse, specie il sabato e la
domenica) oltre al film e alla pizza nella trattoria di fronte al cinematografo
prevedevano anche una visita all’unica casa chiusa di Crotone. Ciò veniva quasi
presentato come il conseguimento di un maggior livello di spregiudicato uso
delle opportunità offerte all’impiego del tempo libero: certo ben diverso da
quello proprio di una comunità contadina calabrese nel periodo precedente la
Seconda guerra mondiale. Tanto più se, nel caso specifico, tenevano molto a
sottolineare il particolare del proprietario dell’auto.
Manlio
Rossi-Doria, Un paese di Calabria,
l’Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2007, pag 40, 48 e 53. Libro pubblicato a
cura del prof. Michele De Benedictis.