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Saverio Strati in una foto pubblicata su Facebook |
Saverio Strati
Sant'Agata del Bianco 1924 – Scandicci
2014
Il ritorno di Saverio Strati, un grande
dimenticato della letteratura.
Dopo quasi 20 anni lo scrittore
calabrese che vive grazie al sussidio della legge Bacchelli, torna a
pubblicare. La rivista «Il Portolano» ospita un suo inedito e gli dedica un
fascicolo monografico.
Ha scritto più di 40 opere tradotte in
numerose lingue, ha vinto premi prestigiosi in Italia e all'estero, è
considerato il più grande scrittore calabrese vivente. Eppure Saverio Strati,
85 anni, abbandonato nel 1991 dalla Mondadori, suo storico editore, da allora
non riesce più a pubblicare le sue opere: decadute le royalties, unica fonte di
reddito, ora vive più che modestamente solo grazie al sostegno statale della
legge Bacchelli, che gli è stata concessa, peraltro, solo a metà dicembre dello
scorso anno.
A Strati è dedicato l'ultimo numero
della rivista letteraria «Il Portolano» (edizioni Polistampa), che propone un
suo racconto inedito, dal titolo «Le notti di Marisa». Dopo quasi vent'anni
questo è il primo racconto di Strati a essere nuovamente stampato. «Le notti di
Marisa» racconta una veglia notturna estiva fatta di insonnia e pensieri che ha
per protagonista, appunto, Marisa, «giovane donna grassa e pesante», che lo
scrittore descrive «in sottoveste molto scollata», che «si muove per l'ampia
terrazza dell'attico illuminata dalla luna piena».
Al tempo stesso il periodico fiorentino
«Il Portolano» (Saverio Strati vive da 46 anni a Scandicci, alle porte del
capoluogo toscano) ricorda vita e romanzi dello scrittore che con «Il selvaggio
di Santa Venere» vinse il Premio Campiello 1977, in un editoriale del
direttore Francesco Gurrieri e nel saggio breve dello scrittore Stefano
Lanuzza. Molti i saggi di «accompagnamento», firmati tra gli altri da Renato
Ranaldi, Riccardo Albani, Angela Gatti Pellegrini.
Personaggio schivo, poco avvezzo alla
luce dei riflettori e lontano dagli schieramenti politici, Strati è per la
rivista «Il Portolano» l'ultimo erede della grande tradizione verista, è
«narratore di realtà spesso scomode, testimone della lotta degli oppressi,
acuto interprete dei problemi dell'emigrazione e dell'integrazione culturale».
Nonostante i successi e la fama internazionale, è da circa vent'anni
dimenticato dall'editoria, dal mondo letterario, dai media: il destino di un
uomo, per usare le sue stesse parole, «a cui non è mai importato di essere “personaggio”,
secondo quanto pretenderebbe dallo scrittore la cultura della borghesia».
Nato a Sant'Agata del Bianco (Reggio
Calabria) il 16
agosto 1924, Saverio Strati, figlio di proletari, svolge fin da
piccolo diversi mestieri. Consegue la maturità classica solo nel 1949, ormai
adulto: nel frattempo ha maturato un forte amore per la letteratura, nato dalla
lettura di scrittori come Croce, Tolstoj, Dostoevskij, Verga. Frequenta la
facoltà di Lettere, ma non finirà mai l'università. Nel 1953 si trasferisce a
Firenze, dove collabora con quotidiani e riviste. Dello stesso anno è
l'incontro cruciale col critico letterario Giacomo Debenedetti, che dopo aver
letto il racconto «La
Marchesina» lo incoraggia a proseguire nell'attività di
scrittore, mettendolo poi in contatto con Mondadori. Con l'editore milanese
Strati pubblica, dopo la prima raccolta di racconti («La Marchesina», 1956) e il
primo romanzo («La Teda»,
1957), la maggior parte delle proprie opere, compresa «Il selvaggio di Santa
Venere» che nel 1977 gli vale il Premio Campiello. Nel 1958, dopo aver sposato
una ragazza svizzera conosciuta a Firenze, si trasferisce in Svizzera, dove
vive fino al 1964. Qui scrive i romanzi «Mani Vuote», «Il Nodo» e molti
racconti. Dal soggiorno all'estero, che Strati considera come una svolta nella
sua narrativa, nasce anche il romanzo «Noi Lazzaroni», pubblicato nel 1972. Dal
1964 vive a Scandicci, in provincia di Firenze.
Articolo de Il Giornale di lunedì 25 gennaio 2010